I piemontesi sono sempre stati piuttosto attenti alle «masche», le più o meno simpatiche presenze che nel migliore dei casi da un momento all’altro mettono per aria la casa, in disordine i fornelli, fanno baccano e insomma creano un sacco di problemi alla vita famigliare. Nel tempo sono state studiate con amore, le pubblicazioni specialistiche e divulgative formano una ricca biblioteca, forse si ritiene ormai di saper tutto di loro. Ebbene, non è così. Le masche sono talmente imprevedibili che, questa volta zitte zitte, sono passate in frotta per il Politecnico di Torino, occupando una miriade di scatoloni e naturalmente di file al castello del Valentino, in un’angusta stanzetta del Dist, il Dipartimento interateneo di scienze del territorio del Politecnico e dell’Università.
Le ha convocate, negli anni, Alberto Borghini, docente di antropologia culturale, con la sua collaboratrice Francesca De Carlo e gli studenti (un migliaio) che si sono succeduti nei corsi universitari. Non si tratta solo di masche, ma anche di diavoli, folletti, troll, neonati parlanti e magari infuocati, streghe, maghi, prodigi d’ogni genere raccolti dalla memoria orale per valli e campagne, dovunque sia stato possibile in giro per l’Italia, dalla Basilicata al Trentino. La maggior parte del materiale, che viene depositato al «Centro di documentazione delle tradizioni orali di Piazza al Serchio», di cui Borghini è direttore, è ovviamente piemontese e valdostano.
Ora è diventato un’opera sorprendente non solo per le dimensioni: Figure e figurazione dell’immaginario in Piemonte e Valle d’Aosta, vale a dire un lessico dove in ordine alfabetico intorno a ogni parola chiave si raccolgono fiabe, leggende, spauracchi dei bambini, immagini e luoghi della paura, tradizioni relative a piante, animali, paesaggi. È un mondo complesso di narrazioni popolari, nasce da interviste sul campo incrociate con i materiali esistenti, da quelli raccolti nelle scuole alla lunga tradizione di ricerca folclorica. Il quadro che ne deriva, anche per il lettore semplicemente curioso, è affascinante. Attraverso le leggende e gli spauracchi si ha accesso a un universo parallelo, sempre intuito e mai esplorato, una mitologia quotidiana e antichissima, un mondo di hobbit, e quegli hobbit siamo noi. Il primo volume, che si limita alla lettera A (B e C sono già pronte, ci dice il professor Borghini) è facilmente accessibile in rete, sia su carta sia in e-book, sulla bacheca di Lulu.com.
Comincia con «Abbassarsi» e finisce con «Azzurro», ovvero parte da una quercia «stregata» di cui si narra a Casalborgone che di notte, nei pressi di un cimitero, abbassi i rami per impedire il passaggio ai giovanotti reduci da qualche baldoria, per arrivare alla vicenda della bellissima fantasma - d’azzurro vestita - che balla una sera con un giovane e lo fa innamorare di sé, raccolta dagli alunni di una scuola elementare di Pontestura, nel Monferrato di Casale. È questa una storia ancora molto viva, osserva Borghini: tanto che è diventata, con qualche adattamento, una delle tante «leggende metropolitane» che impazzano sulla rete. E però molto antica, aggiunge, in quanto variante di un racconto presente in Flegonte di Tralle, narratore greco della prima metà del II secolo (per gli insaziabili, segnaliamo che il suo Libro delle meraviglie è stato da poco pubblicato da Einaudi).
Il folclore forse non muore mai, benché le mitologie raccolte in gran parte nelle aree isolate o marginali, e da persone anziane, sembrino sul punto di sparire, di essere dimenticate. «Ma in fondo anche nella Grecia classica la mitologia era “morente”», osserva il professor Borghini, che ha dalla sua una formazione da antichista. E dunque, mai fidarsi delle masche: vecchie sì, ma piuttosto vivaci. E mai stupirsi per le loro bizzarrie. Noi non lo sappiamo, ma hanno una logica. Esempio: dalle parti di Castiglion Tinella c’è una scorciatoia detta «della capra», con una curva piena di rovi. Qualcuno tentò di pulirla, ma sentì una voce di donna e, dopo il primo colpo di falce, smise. Il giorno dopo, c’era a terra un braccio femminile, tagliato.
Un po’ troppo alla Stephen King? Meglio un po’ di commedia? E allora ci si può volgere a quanto accadde a fra Alba e Diano, dove un uomo, ovviamente tanto tempo fa - è il racconto di una nonna -, passa in una curva chiamata «il giro delle masche» tornando dal mercato. È notte, e dalla casa sopra la curva arrivano risa, musiche, grida di gioia. «Sono allegre, le masche», dice in tono scherzoso fra sé e sé. Ma si becca dal nulla un mirabolante ceffone, che gli fa gonfiare ben bene la guancia.
Queste storie non ci narrano solo uno scherzo, macabro e meno. Analizzandole e incrociandole con infinite altre, ci dicono di più. Nel caso, raccontano qualcosa cui non si bada normalmente: la curva. Un luogo del paesaggio molto particolare, che nelle leggende è collegato a avvenimenti sempre inquietanti. Il diavolo irrompe spesso disegnando curve in una danza spiraliforme (anche in Goethe), le streghe ballano in cerchio alla stessa maniera, e per di più in qualche caso escono dai loro abituri attraverso un camino incurvato, a spirale. Nel Canavese si vedono non solo comignoli a spirale ma anche «botti di fuoco» che rotolano nella notte, nel Cuneese si può essere aggrediti, di notte, da una ruota. Va da sé, lanciata dalle streghe.
La mappa delle favole è smisurata, ricchissima, labirintica. Ma è importante, spiega Borghini, perché ci insegna qualcosa di fondamentale sulla nostra immaginazione e persino sul nostro rapporto col paesaggio. Il docente e la sua collaboratrice hanno avuto appena il tempo di pubblicare il primo volume del lessico, e dalla Germania una importante casa editrice ha chiesto di tradurlo subito, per poterlo diffondere in inglese. «Ci stiamo pensando - dice l’antropologo -. Ma per adesso vorremmo che intanto Piemonte e Valle d’Aosta potessero riappropriarsi di questo enorme patrimonio. È una ricchezza globale».
Che può influenzare altre discipline, tradursi in saperi diversi e non solo in consigli pratici, come quello del tutto condivisibile di stare attenti alle curve soprattutto quando si guida di notte. La storia non si fa con i se, ma proviamo a immaginare che Sigmund Freud fosse venuto a contatto con il mito della Vaina, studiato nella valli ossolane. La Vaina (dal tedescovainen, che significa piangere) è una bambina in fasce. Può essere figlia di una poveretta stuprata e gettata in un dirupo da un signore locale, oppure una bambina di ignota provenienza, che compare ogni tanto (rotolando) sui pendii. Nel primo caso, va in giro piangendo e commiserando la sorte della madre, nel secondo è più insidiosa: se viene presa in braccio da donne impietosite, si trasforma in un «biondo giovane libidinoso», parente del diavolo, irresistibile e sexy, che combina loro l’immaginabile scherzetto.
Esistono anche altre versioni, ma già queste due aprono uno scenario: in entrambi i casi si tratta di un’aggressione sessuale a carattere edipico. Il professor Borghini è giunto a una conclusione, questa non scientifica, e tuttavia non troppo scherzosa: «Se Freud avesse saputo, non ci sarebbe il complesso di Edipo, ma quello della Vaina».
Mario Baudino