Cultura
SE LO SPREAD
MINACCIA
LE BANCHE
Carlo Cottarelli
Carlo Cottarelli
Dati recentemente pubblicati dalla Banca d’Italia indicano una «fuga» degli investitori esteri dal mercato dei titoli di Stato italiani: 25 miliardi in maggio e 33 in giugno, le fuoriuscite più grosse negli ultimi anni. La quota di debito pubblico detenuta da investitori esteri è così scesa al di sotto del 31 per cento a fine giugno, rispetto a un valore superiore al 33 per cento in aprile. Le vendite estere sono state compensate in buona parte da un aumento della detenzione di titoli di Stato da parte del sistema bancario italiano.
C’è chi vedrà questo travaso di titoli da investitori esteri a investitori italiani in modo positivo. Insomma, se diventassimo come il Giappone, in cui più del 90 per cento dei titoli di Stato sono detenuti da residenti, i problemi di sostenibilità del debito pubblico italiano sparirebbero o, perlomeno, sarebbero notevolmente attenuati. Dobbiamo quindi essere contenti della fuga dello straniero? No, per due motivi. Il primo è che lo spostamento di titoli da acquirenti esteri a quelli italiani è stato accompagnato da un aumento dei tassi di interesse sui titoli di Stato.
A metà maggio i titoli decennali italiani rendevano circa l’1,8 per cento. Da metà giugno in poi hanno oscillato tra il 2,5 e il 3 per cento (sono attualmente vicino a quest’ultimo livello). Insomma, le banche italiane saranno anche disposte a detenere una maggiore quantità di titoli di Stato, ma per farlo vogliono ricevere un tasso di interesse più elevato, come compensazione per il maggior rischio affrontato.
Il secondo motivo è che, al crescere della quantità di titoli di Stato detenuti dalle banche italiane, il legame tra situazione dei conti pubblici e bilancio delle banche diventa più stretto. Cosa significa? Significa che possibili futuri aumenti dei tassi sui titoli di Stato causati da un deterioramento dei conti pubblici avrebbero maggiori effetti negativi per le banche. Infatti, quando il tasso sui titoli di Stato sulle nuove emissioni aumenta il valore dei titoli di Stato già in circolazione scende. È una legge finanziaria: visto che il rendimento di un titolo di una certa scadenza residua (per esempio 10 anni) deve essere più o meno lo stesso indipendentemente dal fatto che il titolo sia stato appena emesso o che sia già in circolazione (gli investitori fanno in modo che questo avvenga con i loro acquisti e vendite), se i tassi di interesse all’emissione salgono i prezzi dei titoli già in circolazione scendono per garantirne lo stesso rendimento. Ma la discesa del prezzo dei titoli comporta per le banche una perdita in conto capitale. E tanto maggiore è la quantità di titoli di Stato detenuta dalle nostre banche, tanto maggiore sarà la perdita subita. Non è finita qui: se le banche sono in difficoltà si presume che lo Stato debba intervenire in loro sostegno (la disciplina del bail in non è stata ancora ben assorbita a livello di opinione pubblica e politica…). Il che comporta che, se le banche hanno perdite, queste si potranno riversare sui conti pubblici: la situazione di questi peggiora ulteriormente, portando a un ulteriore aumento dei tassi di interesse. Insomma si avvia un circolo vizioso, un feedback loop, per dirla all’inglese, che ha caratterizzato molte crisi finanziarie in passato, compresa quella del 2011-12 in Italia. Questo feedback loop contribuisce a spiegare la forte correlazione negativa tra andamenti dei tassi di interesse sui titoli di Stato e la quotazione delle azioni bancarie.
Ora, la graduale uscita nel corso degli ultimi anni di investitori esteri dall’Italia ha ulteriormente stretto il legame tra bilancio delle banche e bilancio dello Stato. Nel giugno del 2011 i titoli di Stato rappresentavano meno del 6 per cento dell’attivo bancario; a giugno di quest’anno rappresentavano un po’ più del 10 per cento. Dobbiamo quindi aspettarci che quel circolo vizioso cui ho appena fatto riferimento sia diventato ancora più pericoloso di quanto fosse nel 2011.
Tutto questo comporta la necessità di evitare nel modo più assoluto un ulteriore aumento dello spread e dei tassi di interesse sui titoli di Stato, anche per i riflessi che questo avrebbe sulle nostre banche. Il che richiede una legge di bilancio per il 2019 che ponga le basi per una rapida discesa del rapporto tra debito pubblico e Pil. In proposito, ricordiamoci che quello che determinerà l’aumento o meno dei tassi di interesse non sarà la maggiore o minore flessibilità che ci daranno gli «euroburocrati», ma sarà l’azione di migliaia di investitori nazionali ed esteri cui non interessano per nulla i pareri, spesso troppo politici, espressi dalle istituzioni europee. Lo tengano presente quelli che pensano che basti fare la voce grossa a Bruxelles per poter aumentare a piacere il deficit pubblico.