ebook di Fulvio Romano

domenica 8 settembre 2013

Come reagirono al golpe Berlinguer e Moro, ministro degli esteri (5 anni prima di essere ucciso)

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Cultura

Così il putsch sconvolse Moro e Berlinguer

In Italia l’impatto del golpe cileno non si fa attendere. Il segretario del Pci Enrico Berlinguer scrive i celebri saggi su Rinascita nel breve spazio di tre settimane (dal 28 settembre al 12 ottobre 1973). «Imperialismo e coesistenza alla luce dei fatti cileni», «Via democratica e violenza reazionaria», «Alleanze sociali e schieramenti politici», i titoli dei contributi riassunti e raccolti con la dizione «Riflessioni sull’Italia dopo i fatti del Cile» o più semplicemente «La proposta del compromesso storico». Tappe di un’analisi che prende le mosse dalla tragedia cilena per accelerare i termini del confronto tra i partiti: garantire un quadro internazionale sostenibile rafforzando la collaborazione democratica tra i protagonisti della ricostruzione post bellica.

Sull’altro versante, quello del governo presieduto da Mariano Rumor, la reazione è affidata, non senza tentennamenti e resistenze, alle parole del ministro degli Esteri Aldo Moro, che il 26 settembre alla Camera dei deputati risponde alle «Interpellanze sul colpo di Stato in Cile». La condanna è ferma in un testo che dalle sue carte di archivio appare limato, rivisto e modificato in quattro successive versioni. Non si tratta di un intervento di circostanza. Moro pesa la parole e rivede con tratti di penna i passaggi più delicati: «Non è solo un problema relativo ai rapporti internazionali, pure turbati in modo rilevante da vicende come questa, ma anche di un fatto che tocca la nostra coscienza civile e la nostra sensibilità morale».

E più avanti, prendendo le distanze da Washington: «Se vi erano, come vi erano, dei problemi da risolvere, era la politica che doveva provvedere con strumenti di consenso (ricercato e meritato), non la forza dei militari con strumenti di sopraffazione. Certo non è questo il primo caso, specialmente nell’America Latina. Ma a parte il modo con cui l’azione è stata svolta e il terreno nel quale essa si è sviluppata, non possiamo non dire che, proprio a questo punto dell’evoluzione sociale, proprio nell’attuale contesto storico, un nuovo colpo di Stato, questo colpo di Stato colma la misura, appare assolutamente inaccettabile, porta con sé sinistri presagi». E con la forza di una riflessione più ampia rivolta all’Italia: «Nostro compito è trovare in questa epoca della democrazia un’alternativa alla rivoluzione e far sì che la democrazia non sia un alibi per la stagnazione sociale. E poi, in definitiva, sono la stabilità politica e il giusto assetto sociale che garantiscono la pace. Dovunque esse vengano meno, ovunque la società sia inquieta e inappagata, lo stesso pacifico sistema dell’ordine internazionale è in discussione».

Diversi Paesi europei (Francia, Danimarca, Germania occidentale e Gran Bretagna) confermano in quelle ore le relazioni diplomatiche con il nuovo Cile; Moro, al contrario, suggerisce di non riconoscere la giunta militare che è al potere, prendendo così le distanze dalla discussa e collusa Dc cilena e dalle prime indicazioni che giungono dagli Stati Uniti. Nei giorni successivi si sfiora l’incidente diplomatico tra il Dipartimento di Stato e la Farnesina. Salta l’ipotesi di un incontro tra il ministro degli Esteri italiano e il segretario di Stato Henry Kissinger. L’Ambasciata Usa a Roma prepara una nota riservata (9 ottobre 1973) che minimizza gli attriti e sollecita l’amministrazione Nixon a «comunicare direttamente con il ministro per diminuire ogni sospetto di essere stato messo da parte o non considerato nel giusto modo».

Umberto Gentiloni


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