LA STAMPA
Cultura
“Anche noi della sinistra siamo stati responsabili per la fine del presidente”
Roberto Ampuero, scrittore e ministro della Cultura cileno,
nel ’73 giovane comunista: “Facile celebrare, senza dirsi la verità”
«È ora che la sinistra, soprattutto quella estrema, si chieda come mai Salvador Allende morì completamente solo. Altrimenti stare qui a celebrarlo diventa solo un esercizio inutile». Roberto Ampuero oggi è uno scrittore famoso, pubblicato in tutto il mondo, e di mestiere fa il ministro della Cultura in Cile. Quarant’anni fa, però, era tutta un’altra storia: «Militavo nel movimento dei giovani comunisti».
Ricorda cosa fece, il giorno del golpe? «Molto bene, come tutti i cileni. Quando seppi dei primi disordini andai all’università, perché la consegna del partito era questa. In caso di golpe, ognuno al suo posto: i lavoratori in fabbrica, gli studenti in aula». Cosa trovò? «Andai all’Instituto Pedagógico, e con grande sorpresa vidi i miei compagni che bruciavano i propri documenti identificativi. Così li imitai anch’io». Perché? «Volevamo cancellare la nostra identità e la nostra militanza. Poi notai un’altra cosa, che non dimenticherò mai: all’università c’erano solo ragazzi, nessun leader politico. Nessun capo del movimento. Erano tutti scappati». E lei cosa fece? «Non c’era rimasto molto da fare. Saltai il muro di cinta, perché i soldati avevano bloccato i cancelli, e andai a casa. Era una giornata cupa, silenziosa. Ogni tanto si sentiva qualche sparo, ma erano episodi isolati. Salii sul tetto, e guardai da là gli aerei che bombardavano il Palazzo della Moneda. Quindi mi sintonizzai su Radio Mosca, perché era l’unica maniera per sapere cosa stava succedendo al mio paese. Qualche tempo dopo scappai, rifugiandomi nella Germania Est». Perché non dimenticherà mai di non aver visto politici in strada? «Fino alla settimana prima, tutti cantavano: “Allende, el pueblo te defiende”. Quando cominciarono a volare i proiettili, però, erano tutti spariti. Morì da solo: con lui c’era solo il medico e qualche amico. Non dico che dovevano fare i martiri e sacrificarsi per salvarlo, ma potevano dare almeno un po’ di sostegno politico». Perché non lo fecero? «Bisognerebbe chiederlo a loro: molti sono ancora vivi. Dovrebbero guardarsi allo specchio e domandarsi: io cosa feci di sbagliato? Quale contributo diedi a quella tragedia?». Lei ha scritto che tutti sono un po’ colpevoli della morte di Allende. «Certo. La sinistra ha contribuito a spingerlo su posizioni estreme, rendendo il Cile ingovernabile, ma poi si è sfilata perché lui non era abbastanza rivoluzionario, minacciando di prendere le armi per rovesciarlo. La destra e i militari ne hanno approfittato, per fare il golpe. Gli Usa e l’Europa occidentale lo avevano abbandonato da tempo, considerandolo un nemico, e l’Urss non lo aveva aiutato perché doveva già sostenere Cuba, e creare un’altra Cuba in Sud America sarebbe stato troppo costoso. Tutti hanno una responsabilità, e sarebbe ora di ammetterla: è facile celebrare, senza dirsi la verità». Secondo lei perché fu abbandonato? «Perché nessuno lo considerava davvero uno di loro. Per la destra e i militari era un nemico, e questo era noto. Per i comunisti e i socialisti non era un vero rivoluzionario, ma solo un riformista. Quindi avevano radicalizzato il governo, ma quando si erano accorti che le cose non funzionavano lo avevano mollato. Per i democristiani, invece, proprio il fatto di essere un riformista era la sua colpa imperdonabile». Come mai Allende non capì che lo stavano mettendo in trappola, e non resistette alle pressioni degli estremisti? «Lui era un sognatore, un idealista con una grande visione. Sul piano amministrativo, però, l’economia era un disastro, e su quello politico non era mai riuscito a tenere sotto controllo i partiti della Unidad Popular, che in teoria avrebbero dovuto sostenerlo, ma nella pratica minacciavano di prendere loro il potere con le armi». L’anno scorso lei ha pubblicato un libro intitolato El ultimo tango de Salvador Allende. Come ha immaginato le drammatiche ore conclusive della sua vita? «Credo che abbia voluto morire. Penso che si sia ucciso per punire i suoi nemici: la destra e i militari che lo avevano rovesciato, l’alleanza internazionale contro di lui, i socialisti che lo avevano lasciato solo. Se ci pensate bene, è un’immagine molto cristiana: si è immolato. Si è sacrificato affinché il Cile, dopo il terribile processo della dittatura, potesse ritrovare democrazia e giustizia».
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