Cultura
Ma il pd deve accettare
la sfida del voto
Caro Direttore, consenta che esponga sul giornale sul quale scrivo da tanti anni, alcune riflessioni che non piacciono ad alcuni degli autorevoli commentatori che si dicono preoccupati del «bene del Paese». E ai professori che un giorno sì e l’altro pure, fanno esercizio di «realismo politico». Tanto le mie parole non avranno alcuna rilevanza politica. Ma spero di farmi capire.
A mio parere, il Partito democratico, dopo aver votato a favore della decadenza del senatore Berlusconi, deve accettare senza paura che il Pdl faccia cadere il governo Letta, deve andare alle elezioni anche con questo vergognoso sistema elettorale e fare la più grandiosa campagna elettorale della sua storia.
È di questo che ha paura il gruppo dirigente del Pd. Teme di non avere argomenti forti per scuotere l’elettorato. Anzi, argomenti deboli di fronte a quelli che useranno i suoi avversari: il guadagno netto del non pagamento dell’Imu e «il martirio di Silvio». Ma questi sono davvero argomenti forti? O non mettono piuttosto finalmente di fronte alla pochezza e alla ambiguità dei grandi discorsi il Pdl sulla crescita e sulla giustizia?
Possibile che il Pd non abbia argomenti per contrastare questa pochezza e ambiguità? Il Pd deve rompere il circolo vizioso in cui si è fatto rinchiudere dagli avversari e da chi ritiene che la tenuta di questa legislatura sia il bene sommo della nazione. Il Pd deve mobilitare il suo potenziale elettorato sconcertato e reso passivo da un prepotente e ripetitivo circuito mediatico. Deve recuperare dal fondo non ancora perduto dell’astensionismo e rimotivare chi è passato al M5S. Deve scatenare (se il termine non turbasse), le energie degli uomini e delle donne che ora si stanno logorando in beghe interne – dimenticando quali ideali li unisce. Sì, parlo di «ideali» a costo di far ridere i consumati professionisti del partito attuale. Altrimenti il Pd dichiari bancarotta politica.
E lo spread, i mercati, l’Europa, la Germania della cancelliera Merkel? Ma non ci si rende conto che la risposta non è un «armistizio» continuo, sotto continuo ricatto, bensì un governo sicuro delle proprie certezze, al di là della aritmetica elettorale. Tale non è il governo di Enrico Letta, che nel migliore di casi è un governo innocuo – di fronte ai mercati, allo spread, alla cancelliera Merkel.
Non abbiamo imparato nulla dalla disavventura del governo di Mario Monti, salutato come il più europeo dei governi, anzi il più «tedesco»? Pateticamente ci si aspettava la salvezza del Paese e invece è affogato nel giro di pochi mesi tra lo stupore e poi il disinteresse della stessa cancelliera tedesca. La Merkel adesso si guarderà bene dal prendere troppo sul serio il governo Letta o qualunque altra formazione governativa che non goda di un solido consenso elettorale ma è costretto a muoversi su equilibrismi «istituzionali». Anzi, in fondo dall’alto della solidità della struttura politica tedesca la Cancelliera fa persino fatica a capire di che si tratta.
Ma siamo al punto. In questa nostra infelice situazione come si fa a raggiungere un solido consenso elettorale se non ci si butta?
Gian Enrico Rusconi