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lunedì 2 settembre 2013

Matteo e il partito- rete

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Cultura

Matteo e il partito-rete

Con i due comizi di Forlì e Genova, il congresso del Pd è bello che iniziato, in barba ai tentennamenti di Epifani e agli scombinati tentativi del suo staff di cambiare le regole in corsa per congelare lo status quo.

Renzi non ha avuto nemmeno bisogno di dire che si candida perché ha già aperto la campagna per la segreteria e andrà avanti come un treno. La rossa Bologna che un anno fa lo aveva invitato con un po’ di imbarazzo oggi gli prepara un ingresso da star per la prossima tappa. A questo punto, sembra che provare a rinviare la data, manipolare le regole, utilizzare stratagemmi come a novembre scorso per contenerlo, insomma, tentare di erigere fragili dighe non farà che aumentare la forza della piena una volta che saranno state sfondate. Come di consueto, appare ferocemente sicuro di sé, ma stavolta conquista via via pezzi del popolo democratico, anziani frequentatori delle «feste» compresi.

L’incontro è a metà strada. Renzi questa volta, negli accenni e negli accenti più che nelle proposte concrete, un po’ si riposiziona. Per carattere e guizzo comunicativo gli viene facile duettare con il pubblico, mentre risponde all’intervistatore. Saluta la signora che deve prendere il treno e risponde a quello che sbraita contro l’inconcludenza del governo sull’odiata legge elettorale. Snocciola con più enfasi che in passato «cose di sinistra». Equità nel welfare (esemplificato dai trasferimenti tra pensioni d’oro e pensioni minime), investimenti per la scuola (con senso di rispetto e un occhio di favore per gli insegnanti), lavoro per donne e giovani (per ora più come aspirazione che come strategia di policy). Parla di un Pd che riabilita la politica e la rimette al posto dei tecnici, che crea innovazione e aiuta le imprese, che non si ferma di fronte al capitalismo «dei soliti noti», che non va al traino e che non parla più di Berlusconi. Nel riposizionamento è certamente aiutato dalle larghe intese, «parecchio innaturali». Quella strana alleanza anomala in cui il merito d’aver abolito l’Imu se lo prende Alfano e che poi chiede ai sindaci, spesso di centro-sinistra, di far pagare la service tax. E in effetti, stavolta sarà difficile per i Fassina additare Renzi come uno di destra perché propaganda il contratto unico (di cui Renzi oggi non parla più) e perché è andato in visita ad Arcore.

Così, di fronte al popolo delle feste, parlando del «suo» Pd, si può permettere di cambiare completamente narrazione, rispetto al partito «strutturato e radicato nel territorio» di Bersani. Il partito-rete e non più piramide. In cui la comunicazione e le scelte non passano attraverso la sequenza circoli-federazioni-organismi nazionali. Con meno ruoli interni, uffici, funzionari e una maggiore centralità degli eletti: parlamentari e sindaci. Un partito in cui si va se si hanno delle idee da proporre e da realizzare. E più attacca e spara bordate contro l’elefantiasi (e gli elefanti) del partito, più il popolo applaude. Più sputa fuoco, più giovani e vecchi, donne e ragazze si spellano le mani. Va giù di brutto Renzi ed evita le parole inutili. E che lo faccia uno di 38 anni, che scalpita senza chiedere il permesso e si fa avanti senza barcollare piace ancora di più.

Popolare anche l’attacco alle correnti, nel quale però Renzi si limita alla giusta quanto facile invettiva contro le filiere che garantiscono una carriera ai meno capaci. Ma non dice, se dovesse vincere, cosa farà di chi avrà votato Cuperlo o Civati. Pretenderà che si convertano, si sciolgano o escano dal Pd? E d’altro canto, per vincere avrà bisogno di consolidare, ai vari livelli del partito, un consenso diffuso sulla sua linea. Se vincerà, avrà pur bisogno di una squadra qualificata convintamente in linea con il suo progetto. Se no, perché si candida a fare il Segretario e non direttamente il Premier?

Ma è chiaro che il suo vero punto di forza è un altro. L’evocazione di un Pd capace di parlare ai delusi: a quelli del Pdl stanchi di Berlusconi, e a quelli del Pd, stanchi morti di perdere a causa dei dirigenti «che c’erano prima». È questo che colpisce. Renzi stavolta sa che può vincere davvero, intende farlo, e comincia a crederci anche chi lo ascolta. Pare proprio che non molli. E sarà difficile fermarlo.

Elisabetta Gualmini


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