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venerdì 10 novembre 2017

L’equivoco che imbriglia il credito

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Lequivoco

che imbriglia

il credito

Con il senno del poi, è facile dire: quella banca era marcia, occorreva intervenire prima. Il guaio è che prima, quando una banca comincia a barcollare, potentati locali e politici premono sulle istituzioni di controllo perché si faccia tutto il possibile per lasciarle il tempo di riaversi, evitando soluzioni traumatiche.

È questo, in parole povere, il contrasto tra esigenze di trasparenza ed esigenze di stabilità di cui parlano gli esperti. Se le traversie di una banca vengono messe in piazza troppo presto, si rischia di farne fuggire i depositi provocandone un disastro che poteva essere evitato. Se si attende troppo, si dà spazio a gruppi dirigenti spregiudicati per imbrogliare gli investitori.

A posteriori, ci vuol poco a individuare il momento giusto. In alcuni casi gli stessi politici ora impietosi nel denunciare i ritardi in precedenza chiedevano alle istituzioni di controllo di non accanirsi su banche vicine al territorio, impegnate a sostenere le imprese colpite dalla crisi.

Si indignano per i comportamenti disinvolti della Banca Popolare di Vicenza anche alcuni che volevano tenerla al riparo dalla riforma («vergognosa» secondo il presidente della Regione Veneto Luca Zaia, sbagliata secondo altri sia a destra sia a sinistra) delle banche popolari. 

Una riforma che la Banca d’Italia sollecitava da anni e che solo nel 2015 è stata realizzata. 

Se non altro, il poco edificante battibecco di ieri (solo a distanza) tra Banca d’Italia e Consob ha indicato in quali direzioni occorre muoversi. La prima ha chiesto più poteri, la seconda più mezzi e maggiore accesso ai risultati delle ispezioni della vigilanza sulle aziende di credito. Bene; purché ci si renda conto che questo comporta una trasformazione più rapida del sistema bancario.

La Banca d’Italia chiede il potere di proibire del tutto la vendita al dettaglio di titoli alle banche sulle quali la valutazione di vigilanza sia inferiore a un certo livello. In un passato non distante, questa sarebbe stata definita una misura dirigista, un vincolo al mercato e alla libertà di impresa. L’esperienza recente porta invece a ritenerla opportuna.

La Consob da gennaio riceverà con la direttiva europea Mifid 2 poteri più ampi nel disciplinare la collocazione dei prodotti finanziari presso i piccoli risparmiatori. Da anni aveva chiesto al Parlamento italiano di ottenerli in anticipo, senza avere ascolto. Anche qui si tratta di vietare se necessario.

Poter meglio prevenire non basta, tuttavia. Il mondo bancario non può restare com’è oggi: l’informatica diminuisce l’importanza di avere sportelli ovunque; la stabilità finanziaria richiede maggiori dotazioni di capitale; nell’area euro la moneta comune consiglia fusioni transnazionali. È pericoloso che le banche diventino enormi, ma le piccole spesso non sono abbastanza vitali.

Proprio la sicurezza dei risparmiatori richiede trasformazioni accelerate. Rendiamoci conto che la modifica delle procedure e delle regole di cui ieri è emersa l’urgenza imporrà sfide che per alcune delle attuali aziende bancarie potrebbero risultare troppo ardue. Saranno inevitabili altre aggregazioni, o almeno allargamenti di gruppi di controllo.

E allora non si può tenere il piede in due scarpe: ovvero, da un lato fare demagogia grossolana imputando ai banchieri misfatti di ogni genere, dall’altro schierarsi a difesa degli attuali poteri bancari italiani contro ogni innovazione normativa europea che li spinga a evolversi.

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Stefano Lepri


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