Cultura
50 anni fa a Torino
50 anni fa a Torino
Qui comincia
il
’68
Il 27 novembre ’67 gli studenti
occupano Palazzo Campana
sede delle facoltà umanistiche
È il via della contestazione
che incendierà i mesi a venire
Il 27 novembre ’67 gli studenti
occupano Palazzo Campana
sede delle facoltà umanistiche
È il via della contestazione
che incendierà i mesi a venire
Sulla Stampa del giorno dopo la notizia era confinata nella «Cronaca cittadina», tre colonnine (sulle nove che aveva allora il giornale) in basso a sinistra. «Palazzo Campana, sede delle facoltà umanistiche, è occupato dagli studenti. L’atto di forza è stato deciso ieri mattina in un’assemblea di 500 universitari», così attaccava l’articolo. I grandi incendi cominciano sempre con una fiammella inavvertita: quel giorno di 50 anni fa - era il 27 novembre, un lunedì, proprio come domani - segnava di fatto, con qualche settimana di anticipo, l’inizio del ’68, l’Anno lungo del Secolo breve. E come spesso è avvenuto nella storia d’Italia, a fare da apripista fu Torino. Quelli precedenti erano stati mesi di fermento in tutto il mondo dell’università, altri episodi di occupazione più limitati nel tempo si erano registrati nella stessa Torino, a Pisa, alla Cattolica di Milano, ma fu Palazzo Campana a dare il segnale della svolta, con un’azione che si prolungò fino alla successiva primavera rovente.
La scintilla era scaturita dalle voci su un piano per spostare le facoltà umanistiche, dall’edificio secentesco all’angolo della centrale piazza Carlo Alberto, nella lontana tenuta della Mandria. Ma fin da subito nell’occupazione precipitarono tutti i malesseri e le rivendicazioni che da tempo si agitavano sottotraccia tra gli studenti, sfociando ben presto in una dimensione politica che della battaglia contro l’autoritarismo e per il rinnovamento del sistema dell’istruzione faceva la premessa per una palingenesi complessiva della società.
Gli occupanti erano una minoranza della popolazione universitaria (qualche centinaio di studenti sui 19.500 iscritti all’ateneo, di cui 8 mila alle facoltà umanistiche), ma una minoranza vivace e determinata a cui la maggioranza silenziosa non poté opporsi. Gli studenti che premevano per entrare venivano respinti senza troppi complimenti, così come i professori che cercavano inutilmente di fare lezione (tra gli altri, l’odiato rettore Mario Allara e il sindaco Giuseppe Grosso, docente di Diritto romano). A Palazzo Campana fecero la loro comparsa barricate improvvisate fatte di sedie e armadi, oltre a brandine e sacchi a pelo per i 30-40 studenti impegnati a rotazione nel presidio di notturno. Di giorno gli occupanti, in qualche caso affiancati da professori «amici» come lo storico Guido Quazza, davano vita a controcorsi autogestiti su materie come «Scuola e società», «Pedagogia del dissenso», «Psicanalisi e repressione sociale», «Il problema del Vietnam», «Imperialismo e sviluppo sociale in America Latina».
Furono mesi di fervore, allegria e eccessi verbali. «Vogliamo un’università in cui il rapporto fra studente e docente sia portato su un piano assolutamente paritario», proclamava Luigi Bobbio (figlio di Norberto), che con Guido Viale era il leader della rivolta. E proseguiva chiedendo l’abolizione delle lezioni («una forma di imposizione autoritaria di contenuti che sceglie solo il professore») e degli esami («forma di controllo poliziesco e gerarchico»). Un programma giovanilmente velleitario, in cui lo stesso Luigi Bobbio, morto anzitempo il mese scorso, probabilmente non si sarà riconosciuto una volta divenuto docente. Ma era una provocazione che all’epoca ci stava, che servì a trascinare gli studenti e a far esplodere le contraddizioni.
Maurizio Assalto