ebook di Fulvio Romano

mercoledì 22 novembre 2017

Genova e Faber (Dori Ghezzi)

LA STAMPA

Cultura

La curiosità di un uomo
che ha voluto conoscere
cosa c’è oltre l’orizzonte 


Sfoglio queste pagine ampie e ritrovo la Genova che Fabrizio ci ha raccontato e fatto conoscere, con i suoi luoghi e le nostre amicizie. Vedo la foto di Villa Paradiso dove la madre Luisa sognava che Bicio, così lo chiamava, imparasse a suonare il violino e lui, per non confrontarsi con Niccolò Paganini - altro figlio di Genova - ha imparato a suonare la chitarra. La stessa casa che lo ha visto dare conforto alla propria vulnerabilità adolescente nelle letture di Platone, Verlaine, Proust e soprattutto Villon. Vedo i carruggi attorno a via del Campo dagli odori cattivi e al tempo stesso familiari, dove negli anni Sessanta Fabrizio e Paolo Villaggio andavano a sentirsi ribelli. Forse è per questo che tutti e due nella vita non hanno mai smesso di definirsi dei cialtroni. Cialtroni di cui vorremmo fosse pieno il mondo e che rendono poetico ciò che noialtri nascondiamo, aggiungo io. 
Mi soffermo sulle fotografie della Foce e penso alla storia di quella spiaggia dove Fabrizio si fermava a osservare «le bocche incantate sul pesce d’oro». La stessa Foce alla cui conformazione attuale il padre Giuseppe, presidente della Fiera del Mare, ha contribuito in modo importante. Il padre che al lavoro metteva tutti in soggezione e nell’intimità di nonno, quando io l’ho conosciuto, era l’uomo che appuntava le barzellette per non dimenticarle. O mi perdo nel calore della luce gialla sulla Bolla di Renzo Piano, a due passi dal lungomare che oggi è intitolato a Fabrizio. Per suo sollievo, dato che temeva di ritrovarsi utilizzato dai piccioni come la statua di un giardino. 
E poi le foto del vaso di basilico «piantato lì sul balcone a far venire appetito agli altri», delle anciue belle a cui la pescivendola Caterina dedicava il suo inno o le ombre eleganti di Staglieno, dove Fabrizio dorme non distante dalla sua «sorellina incestuosa» Fernanda Pivano. 
Scorro queste pagine senza un ordine preciso e ne leggo le parole: leggo del suo tifo per il Genoa e vedo quel bimbo che a Natale chiedeva a Gesù Bambino la maglietta rossa e blu della squadra e da grande, quando gli hanno chiesto di scrivere l’inno, ha risposto che non poteva perché ne era troppo coinvolto.
Trovo la sua ironia, l’ironia di chi non offende e la mattina lo portava a chiamarmi Bo - sì, da bottana - e rido pensando che queste pagine hanno il loro calcio d’inizio nelle parole: «Ritornerò volentieri perché Genova è mia moglie». Patrizia Traverso e Stefano Tettamanti hanno dato vita a un libro di sorprese che ci fa viaggiare pur seduti sul divano. Un libro che scorre tra immagini e parole e ci parla della curiosità di quest’uomo nato affacciato al mare, e che ha voluto conoscere cosa accade oltre a quell’orizzonte. Un libro che ci parla di quella Genova che per Fabrizio è sempre stata una «madre generosa nella spettacolarità dei passaggi obliqui e cangianti». E ci parla di lui, figlio navigante che ha abbandonato la banchina del porto per guardare più lontano, oltr e la fine delle cose. Ma che sempre vi ha fatto ritorno.
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Dori Ghezzi


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