ebook di Fulvio Romano

sabato 25 novembre 2017

Per Amazon un venerdì nero di sciopero

LA STAMPA

Italia

Per Amazon un venerdì nero di sciopero

“Ora il pacco lo facciamo noi, vogliamo diritti”

Nello stabilimento con i lavoratori del colosso di Bezos che ieri hanno incrociato le braccia

“Tornati agli Anni 50, contratti base e zero premi di produzione”. Ma i precari non si fermano

Se Charlie Chaplin girasse «Tempi moderni» oggi verrebbe qui. A parte la chiave inglese, dal film del 1936 non è cambiato nulla. La catena di montaggio è rimasta il nastro trasportatore di sempre. Anche gli operai che all’americana si chiamano stower, packer o picker sono sempre quelli. C’è chi l’oggetto lo stocca sugli scaffali, chi lo mette e chi lo prende: 24 ore al giorno, 362 giorni l’anno, ci si ferma solo a Natale, a Capodanno e il Primo maggio. Ma ieri, 24 novembre, era un giorno speciale. Il Black Friday dei grandi affari. Nel 2014 ad Amazon.it, dove oggi si possono trovare 136 milioni di oggetti, arrivarono 450 mila ordini. Nel 2015, 600 mila. L’anno scorso 1 milione e 200 mila, uno ogni 12 secondi. Oggi il colosso di Jeff Bezos punta al record. Ma oggi è pure il venerdì nero dell’azienda che registra lo sciopero di 24 ore, il primo in Italia, il primo dell’era dell’e-commerce, indetto dai dipendenti della filiale di Castel San Giovanni vicino a Piacenza, grande 100 mila metri quadrati e assai tecnologica.

Davanti all’«Astronave», come viene chiamato il capannone dove se hai un badge entri e dove se non ce l’hai non sei nessuno, dalle 10 del mattino c’è il presidio dei lavoratori. Sui cartelli scrivono «Strike friday», «Oggi il pacco è per Amazon». Quelli con il badge blu, assunti a tempo indeterminato, sono la maggioranza. Chi ha il badge verde, lavoratore «somministrato» o interinale come si diceva una volta, è una rarità e si capisce. Othmae è di origini tunisine, ha moglie e figlio a carico e il badge verde che lo bolla come precario: «Lavoro qui da 3 mesi per 1200 euro al mese. Non immaginavo di finire all’inferno. I nostri contratti scadono domenica, non ci hanno ancora detto se saranno rinnovati. Secondo me aspettano domani, dopo lo sciopero. Ma io non posso rinunciare ai miei diritti».

Diritti è la richiesta che fanno tutti. Ancora più degli aumenti salariali. Amazon applica il contratto nazionale del commercio. Ma non sa cosa sia un contratto di secondo livello. Per non parlare del premio di produzione, che da queste parti è una chimera. Il Gruppo nel suo complesso non è che se la passi male. Il bilancio 2016 si è chiuso con un fatturato di 136 miliardi di dollari Usa. Il terzo trimestre 2017 vale 43,7 miliardi di dollari Usa con un astronomico +34%. A chiedere perchè non ci sia il premio di produzione Salvatore Iorio, responsabile del personale di Amazon Italia, risponde all’americana: «Non è in linea con le strategie aziendali». A chi contesta all’azienda un trattamento stile Anni Cinquanta con turni di lavoro massacranti, mansioni ripetitive e un clima pesante tra i reparti, il Gruppo risponde che si lavora molto per la sicurezza, il salario sta nella fascia alta della logistica, ci sono agevolazioni come l’assistenza medica privata e alla fine quelli che si licenziano sono pochissimi.

Alle 10 sono qualche centinaio nel piazzale davanti al deposito presidiato da polizia e carabinieri. I Cobas che accennano un blocco dei camion in arrivo sono tenuti alla larga. Spalmati su 3 turni, i dipendenti sono 1600 a tempo indeterminato, altrettanti con contratti da rinnovare di volta in volta. Ogni tanto parte un fischio verso chi va a lavorare. I sindacati giurano che l’adesione allo sciopero nei reparti è stata alta attorno al 60%. Da Amazon replica che la cifra è più attorno al 10%. Il solito balletto di numeri che non spaventa i sindacalisti. Pino De Rosa dell’Ugl è soddisfatto: «Siamo solo da un anno in azienda. All’inizio non volevano nemmeno darci uno spazio per l’assemblea dicendo che non c’era posto. Per essere il primo sciopero e per il livello di controlli che c’è in reparto, va bene così. I precari hanno aderito poco, ma li comprendo. Amazon deve capirlo. Non si possono modernizzare i consumi e far tornare il mondo del lavoro agli Anni Cinquanta». Da Amazon giurano che va tutto benissimo: «Nonostante lo sciopero abbiamo mantenuto le promesse di consegna del Black Friday». I green badge e chi ha lavorato ha fatto i miracoli. Una parte di ordini sono girati verso gli altri depositi di Vercelli e di Passo Corese vicino a Rieti, basta un clic nell’era digitale.

Ma la globalizzazione ha due facce. Lo sciopero di Castel San Giovanni ha fatto il giro del mondo. Ne hanno parlato a Seattle. In Germania, dove per Amazon lavorano 12 mila dipendenti, si sono fermati 6 depositi per lo stesso motivo. La leader della Cgil, Susanna Camusso, ma lo stesso dicono gli altri leader sindacali, assicura che quella dei lavoratori di Amazon è una lotta giusta: «Senza se e senza ma. Si battono per un lavoro dignitoso e rispettoso». Quello che non conosce Alberto Iavarone, da 5 anni ad Amazon: «Ci hanno chiamato uno per uno per dirci di non scioperare. Se rompi troppo le palle ti mettono al ricevimento merci. Stai fuori al freddo e al gelo ad aspettare i camion e non vedi nessuno dei tuoi colleghi per 8 ore. Oggi, qui, ci giochiamo i diritti e la dignità». 

BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI

fabio poletti


Level Triple-A conformance icon, W3C-WAI Web Content Accessibility Guidelines 1.0           Copyright 2017 La Stampa           Bobby WorldWide Approved AAA