Cultura
L’instabilità
è più dannosa
della Brexit
L’instabilità politica della Germania è per l’Europa una notizia peggiore della Brexit. Esiste infatti un nesso stretto tra l’incertezza politica interna in cui sta entrando la Germania e le difficoltà in cui si trova l’Unione europea.
Sino allo scorso anno si discuteva vivacemente della «egemonia» tedesca in Europa. Oggi essa appare in tutta la sua vulnerabilità. Un possibile malcelato sentimento di soddisfazione da parte dei molti antipatizzanti della Germania (sempre più frequenti anche in Italia) sarebbe un segno della possibile ingovernabilità dell’Unione europea.
La cancelliera Angela Merkel, davanti all’impossibilità di formare il governo con Verdi e Liberali e con l’aprirsi di ipotesi inedite ( governo di minoranza, nuove elezioni, riedizione di una Grande Coalizione con i socialisti) ha parlato «di profondo ripensamento del futuro della Germania». Non poteva certo ammettere d’aver fallito lei stessa nella sua prospettiva politica e nella sua capacità di governare le crisi. In fondo la definizione che l’aveva sempre gratificata era proprio quella di saper gestire le situazioni più critiche. Adesso è in discussione non soltanto la sua persona, ma la linea di moderazione pragmatica «centrista» che ha caratterizzato la sua politica - dalla questione dei migranti alla gestione della politica del rigore nell’eurozona.
L’instabilità politica potrebbe portare con sé un virtuale cambiamento di linea politica generale su questi due problemi chiave. L’impossibilità di trovare compromessi tra i partner della coalizione Cdu/Csu, Verdi e liberali, non riguarda soltanto problemi di politica interna (tempi e modi dell’abbandono del carbone e del diesel, abolizione del contributo di solidarietà alle regioni dell’Est) ma soprattutto la fissazione di un tetto rigido dell’accoglienza dei migranti, la limitazione dei ricongiungimenti familiari e altre ancora più severe forme limitative. Se realizzate, come richiesto non solo dai Liberali ma anche dalla Csu (la partner storica della Cdu, partito della Merkel), queste iniziative avrebbero immediati contraccolpi di sostegno alle politiche delle altre nazioni europee fortemente ostili ad ogni tipo di accoglienza di migranti. Insomma l’avrebbero vinta Paesi come l’Ungheria e gli altri dell’area orientale europea.
È inutile speculare sui motivi di ambizione personale che hanno indotto il leader dei liberali ad esporsi alla responsabilità di rendere impraticabile ogni compromesso. Ma ragionando freddamente, ha colto il clima che si è creato dopo i risultati delle elezioni di settembre e il potenziale di simpatia a favore della nuova formazione Alternative für Deutschland da parte dell’elettorato «moderato». Si tratta ora di guadagnarlo ai liberali. Detto molto banalmente: la Germania dei liberali va a destra per contrastare la destra estrema.
Sin qui è rimasta in ombra la questione del ruolo della Germania in Europa. Anche qui i liberali mirano a superare la Csu chiedendo, tra l’altro, un piano finanziario che prevede la puntuale riscossione dei crediti delle banche tedesche con i debitori stranieri. Una strategia, questa, che dovrebbe riconfermare il ruolo egemone di Berlino contrastando le ambizioni francesi di Macron che pensa ad una nuova politica europea comune solidale.
In questo contesto, il presidente federale Frank-Walter Steinmeier ieri non si è limitato a raccomandare a tutti i partiti interessati di riconsiderare seriamente le loro responsabilità: «Chi nelle elezioni aspira alla responsabilità politica non può sottrarvisi quando l’ha in mano». Ma ha anche annunciato che parlerà con i segretari dei partiti, con i partecipanti alle consultazioni, con i presidenti del Parlamento e del Senato e persino con il presidente della Corte Costituzionale.
Saranno molto di più di consultazioni di routine. Sono il segno tangibile di quanto il presidente consideri seria e inedita la situazione.
Gian Enrico Rusconi