Facebook, Amazon e Alibaba
I big del web si scoprono banchieri
La rivoluzione delle app: pagamenti con Messenger e prestiti di JustEat
Potrebbe iniziare tutto da un conto in pizzeria da dividere con gli amici e due tocchi su un telefono, ma potrebbe finire con una rivoluzione per gli antichi centri di potere che detengono il denaro, i nostri risparmi, i nostri mutui. Negli stessi giorni in cui le banche d’Europa litigano con la Banca centrale sui crediti deteriorati e annunciano migliaia di licenziamenti, i pagamenti via Facebook arrivano in Europa. Da pochi giorni nel Regno Unito, poi nel resto del continente, proprio mentre l’Italia (nel 2017!) scopre il bonifico istantaneo, potremo mandare denaro agli amici o a un negozio direttamente da Messenger.
A prima vista potrebbe non sembrare un passo da giganti. Decine e decine di app si contendono lo spazio sullo schermo principale del nostro telefono e da anni ci consentono di pagare senza toccare banconota e monete, come la piemontese Satispay, risparmiando sulle commissione valutarie, come l’estone-inglese Transferwise, o programmare i nostri investimenti, come l’italiana Moneyfarm. La storia recente dimostra però che una tecnologia innovativa non è sufficiente per diventare leader di mercato. La scala può aiutare: la valuta più preziosa è la nostra attenzione, spesso assieme a un indirizzo email e una carta di credito.
L’evoluzione è in atto: Facebook permette di inviare denaro (massimo 2500 sterline per transazioni, 10.000 il mese), in Cina WeChat lo permette da tempo e Alibaba offre dal 2015 prestiti ai suoi clienti analizzando i loro consumi online. Amazon ha una divisione che offre credito alle imprese che utilizzano la piattaforma come magazzino e vetrina, puntando a diventare sempre più l’infrastruttura dell’economia.
Del resto, chi è nelle condizioni migliori per supportare un’azienda se non chi gestisce già la sua logistica e i suoi clienti? In dodici mesi tra 2016 e 2017 Amazon ha erogato prestiti per un miliardo di euro. Sono ancora numeri piccoli su scala globale: Intesa Sanpaolo, per esempio, nel 2017 dovrebbe erogare prestiti per 50 miliardi di euro in Italia. Quel che è in gioco qui è però il modello: una volta raffinato, è facile replicare, grazie alle licenze bancarie già ottenute in Europa come in India. Ancora, l’app per ordinare a domicilio dai ristoranti, JustEat, ha deciso di offrire prestiti ai ristoratori del Regno Unito e aiutarli a gestire la liquidità. Le piattaforme supportano le loro comunità nella speranza di avviare un circolo virtuoso.
Dai grattacieli vetrati delle banche europee e italiane si osserva questa frenesia, tra un’emergenza e l’altra, con cauto ottimismo. Il cambiamento non sembra poi così travolgente e finora gran parte delle nuove app semplificano una funzione di risparmio o di investimento per poi appoggiarsi all’ossatura dei vecchi istituti o dei circuiti delle carte di credito. «Ci sono settori trasformati nel giro di mesi, il mondo dei servizi finanziari ha comunque bisogno di più tempo - spiega a La Stampa il cofondatore e presidente di Moneyfarm, Paolo Galvani -, è un mondo regolamentato che ha bisogno di capitale e fiducia». Cosa succede quando però nel mercato entrano i grandi attori come Facebook e Amazon, che dispongono sia di capitale che di fiducia? Le startup hanno un ruolo chiave: ricercano e innovano, spesso vengono acquisite. «Le banche hanno difficoltà a capire che un’app parte dalla tecnologia ma arriva a essere banca», osserva Stefano Tresca, fondatore dell’acceleratore fintech londinese Level39. Nonostante la Brexit oggi Londra è il centro dove si concentrano gli investimenti in tecnologia in Europa, anche grazie a una licenza bancaria temporanea fondamentale per operare. L’italiana Moneyfarm ha atteso quasi un anno per avere la licenza da Bankitalia e ora è attiva anche nel Regno Unito. «L’Italia sta pensando alla licenza temporanea, potremmo farlo anche noi - dice Galvani -. Il 2017 è stato un anno di svolta per la comprensione delle priorità. Siamo un po’ in ritardo, ma dal mio punto di vista non è mai troppo tardi».
@bpagliaro
Beniamino Pagliaro