ebook di Fulvio Romano

sabato 9 marzo 2013

Da La Stampa Chi aveva capito l'umore del Paese (M. Brambilla)

LA STAMPA

Italia

Tasse, disoccupati ed Equitalia
Chi aveva capito l’umore del Paese
Dopo le amministrative, il disagio ha allontanato milioni di voti da Pd e Pdl


«Leghisti e berlusconiani hanno dimezzato i voti» e «ora Grillo sta venendo a prenderseli, quei voti»: era il 23 febbraio, cioè il giorno prima dell’apertura dei seggi elettorali, quando si leggevano su La Stampa queste parole. «Purtroppo devo dire che è così», commentava uno dei pochissimi deputati che non hanno perso l’abitudine di stare in mezzo alla gente, il varesino Daniele Marantelli del Pd. Era scritto pure che «Grillo, in verità, sta portando via un po’ a tutti», anche alla sinistra; e che aveva un prezioso alleato: «la divisione nelle fila del nemico».

È proprio vero, come si dice, che lo tsunami è arrivato improvviso? Che non c’erano segnali? Provate a riguardare le immagini dell’ultimo giorno di campagna elettorale. E a ripensare a due palchi di Roma: quello del teatro Ambra Jovinelli con Nanni Moretti e Pier Luigi Bersani e quello di piazza San Giovanni con Beppe Grillo. Allora, non è per dire: Moretti è di cinque anni più giovane di Grillo. Ma provate a rivedere con l’immaginazione quei due palchi - Moretti in maglione rosso e pantaloni beige di velluto a coste che parla di conflitto d’interesse e Grillo che urla «arrendetevi» e dà i dati sullo streaming - e dite qual è il nuovo e qual è il Sessantotto.

Per carità: più che un segnale, questa dei due palchi è una suggestione. Ma anche le suggestioni comunicano qualcosa. La distanza tra i politici e la gente. La distanza tra un milieu intellettuale e la gente. Il Pd era convinto di vincere da quando, nel novembre del 2011, Berlusconi si è dovuto dimettere. Il risultato era in tasca. Sì, c’era da aspettare un anno abbondante, ma anche quel periodo passato ad appoggiare il governo tecnico sarebbe servito a guadagnare consensi, perché la gente avrebbe detto «però, guarda il Pd com’è responsabile».

Ma in quest’ultimo anno e quattro mesi la gente ha più che altro dovuto preoccuparsi di come tirare a campare. Licenziamenti, cassa integrazione, aziende che chiudono. E tasse. Tutte preoccupazioni e difficoltà che alla lunga hanno spento l’entusiasmo per il cambiamento, hanno fatto venir meno la gratitudine verso un premier che ci aveva riportato in Europa, insomma hanno eroso il consenso nei confronti del governo tecnico. E, di conseguenza, quello per i due principali partiti che lo sostenevano.

In primavera 2012 ci sono state le elezioni amministrative in molti centri importanti. E il Pd si è convinto ancora di più che alle politiche non ci sarebbe stata storia. Aveva vinto in posti impensabili per la sinistra, come Monza e Como, roccaforti del berlusconismo, e Cantù, fortino leghista. Cose mai viste. Qualche numero. A Monza, dove cinque anni prima il centrodestra aveva vinto al primo turno, il candidato del Pd ha battuto quello del Pdl con un 63,40 per cento contro il 36,60. A Como 74,87 a 25,13. Como, la città dove il Pdl in cinque anni è passato dal 43,6 per cento al 13,66.

Come non pensare che il vento era cambiato? Eppure si registrava questo fatto: «Il centrosinistra ha certamente motivo per far festa. Ma i numeri dicono anche che, più che una vittoria di Pd e alleati, questa è una Waterloo del centrodestra. Per esempio. Mario Lucini, che ieri è diventato sindaco di Como con il 74,87 per cento, al primo turno ha preso meno voti (14.261) di quanti ne aveva presi cinque anni fa il candidato del suo stesso schieramento, Luca Gaffuri (15.224)», che aveva perso nettamente.

Insomma il Pd, in termini di voti, non stava crescendo. E quando le tasse e il crollo dei consumi hanno cominciato a strangolare il Nord, Berlusconi ha iniziato la rimonta in quel mondo che lo aveva abbandonato. «Su dieci imprenditori che si rivolgono a me, nove mi dicono che torneranno a votare Berlusconi», aveva detto il 17 gennaio scorso a La Stampa Wally Bonvicini, la piccola imprenditrice di Parma che è diventata la pasionaria anti-Equitalia. Dice che nelle cartelle delle tasse, aumentate di interessi stratosferici, è ravvisabile il reato di usura, e inonda le procure di denunce su denunce. Giusto o sbagliato? Semplicemente reale. È un fenomeno reale di cui si parla pochissimo, ma che ha influenzato il voto.

Grillo, che la pancia della gente la sa capire, se n’è accorto per tempo e contro Equitalia ha scatenato buona parte del suo tsunami. Quello che non ha recuperato Berlusconi, l’ha guadagnato lui. E così è arrivato lo stallo. Sorprendente, anzi choccante, per le segreterie dei partiti, ma non per la gente comune. Il 5 febbraio, in una giornata intera passata in piazza Duomo a Milano, tutti ci dicevano: di quello che dice Grillo si capisce tutto; di quello che dice Berlusconi, quasi tutto; di quello che dice Monti, abbastanza; di quello che dice Bersani, niente. «Grillo, a giudicare da quel che si sente in giro, di voti ne prenderà tanti», era stata la conclusione. Anche di Renzi molti avevano pensato che avrebbe potuto essere il nuovo: ma sappiamo com’è andata a finire.

michele brambilla

torna all'elenco degli articoli
Copyright 2013 La Stampa