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Italia
Petrini: “La monocoltura
indebolisce il territorio”
Il padre di Slow Food: “Sul dissesto prediche inutili
Anche nelle Langhe provai a frenare i barolisti”
«Si predica nel deserto», dice Carlo Petrini, padre di Slow Food. «Non solo per questioni di poca cura del paesaggio, cementificazione, scarsa manutenzione. Ma anche per il depauperamento dei presidi sui territori: da cinque anni la strage di aziende contadine, disperate dall’incapacità di stare sul mercato, produce ciò che gli economisti chiamano esternalità negativa: una cascina o un fondo ben mantenuto è un caposaldo di cura del territorio. Perderlo genera un dissesto incredibile».
Che cosa significa «presidiare» un territorio? «La pulizia del bosco è un tipico, quotidiano lavoro delle comunità contadine. Così la rimozione di detriti e ostacoli dai canali. Ricordo che nelle mie Langhe si diceva: “Quando piove molto, i contadini portano l’acqua a spasso”. Ovvero facevano rigagnoli in cui l’acqua scorreva e si disperdeva, senza accumularsi a valle». Che dice di sbancamenti e disboscamenti per far posto a vigneti?«Sposare un’economia agricola monoculturale è un grave errore, dal punto di vista sia produttivo che ambientale. Un ecosistema è in armonia perché nella diversità delle colture trova un modus vivendi. Ma il problema non riguarda solo il prosecco». Parla per esperienza? «A suo tempo ebbi una polemica analoga con i barolisti: spinti dal successo di mercato, levavano i boschi per piantare vigneti. Spiegavo che quei boschi da tempo immemore non solo mantenevano la stabilità del suolo, ma ospitavano piccoli uccelli che mangiavano insetti, realizzando benefici anche per le vigne. E’ chiaro che, cacciati gli uccelli, dinanzi all’aggressione di insetti e parassiti devi ricorrere alla chimica. Ma fui molto criticato». Il boom di domanda ha «ubriacato» anche i prosecchisti? «Nell’enologia italiana, ritengo che il prosecco abbia le migliori performance. E’ molto bevibile, si presta per usi diversi (anche aperitivo), ha una sua fragranza e ha persino acquisito un bel nome all’estero, anche in Germania. Oggi a Düsseldorf capita di sentire un cliente che ordina prosecco. Se gli chiedi di dire Pelaverga di Verduno, si perde a metà strada». Ma se la crisi è così drammatica, perché tarpare le ali a quei produttori che hanno successo? «Oggi tira il vino? Vigneti dappertutto. E domani, se non tira più? No, la crisi può anche essere determinata da iperproduzione e da una domanda gestita dalla grande distribuzione che privilegia prodotti che arrivano da mercati esteri a prezzi molto bassi, mettendo i contadini fuori mercato. In questa situazione, con il food economico e senza cultura adeguata, la qualità passa in secondo ordine e cresce lo spreco. Ma quello spreco è un costo sociale, così come la filiera lunga, con trasporti transoceanici, è un costo ambientale. Che paghiamo tutti». Che cosa si può fare? «Capisco che il buonsenso, dinanzi a diffuse situazioni di indigenza, è due volte più difficile. Ma la crisi è entropica: si consuma molto energia e se ne produce poca. Servono nuovi paradigmi. Rafforzare l’economia agricola locale, ma a tuttotondo e non monoculturale. Accorciare la filiera distributiva, evitando che la fetta più grande della torta sia mangiata da chi sta in mezzo tra produttore e consumatore. Privilegiare i giovani, magari con il biologico. Educare la società civile: se riduco lo spreco e pago un po’ di più il contadino, a parità di spesa non è meglio per tutti?». Ah, ecco, il solito Petrini... «... e lo so: per tanto tempo, e in parte ancora oggi, io sono intercettato come un conservatore fuori dal tempo. Invece sono convinto che noi siamo la punta estrema della modernità. È moderna la morigeratezza, perché non siamo affamati e la crapula non fa neanche bene alla salute. È moderno l’articolo 9 della Costituzione, che non è un’opzione estetica ma un principio fondativo della democrazia, perché il paesaggio è l’identità di un popolo». Invece che cosa non è moderno? «Barattare lavoro e salute. Fare economia ai danni dell’ambiente. Avere il più alto tasso europeo di obesità infantile. E mi creda: quelli che ci guardano con l’occhio storto sono sempre meno».
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