ebook di Fulvio Romano

mercoledì 13 agosto 2014

La "pastetta" Destra-Renzi sul lavoro: "sperimentazione" di tre anni sulla libertà di licenziare gli "a tempo determinato" (ma la "notizia" è solo nell'ultimo capoverso!)

LA STAMPA

Italia

Ma l’accordo è a portata di mano:

via la tutela per i nuovi assunti

Pd e Ncd favorevoli ad una “sperimentazione triennale”

L’ultimo tentativo di abbattere il totem dell’articolo 18 da parte del centrodestra risale al 2001. Già allora un giovane a caccia di lavoro aveva ottime probabilità di entrare a far parte del popolo dei «co.co.pro». Oggi la strada più usata dalle aziende sono i contratti a termine o quelli di «partita Iva». Un popolo di giovani con ancor meno tutele, in compenso gravati di molti oneri burocratici e previdenziali. A distanza di tredici anni e almeno un paio di falliti tentativi di riforma, oltre l’80 per cento dei giovani non sanno nemmeno di cosa si tratti. Secondo gli ultimi dati del ministero del Lavoro, nel quarto trimestre del 2013 su cento contratti di lavoro solo 16 erano a tempo indeterminato. Oltre ai contratti pubblici, l’articolo 18 - ovvero la tutela dal licenziamento soggettivo - riguarda poco più del due per cento delle aziende - quelle con più di quindici dipendenti - ma tutela ancora circa la metà dei lavoratori. È da questi numeri che si comprende la ragione per la quale - raccontano a Palazzo Madama - l’accordo fra Pd e Ncd sull’articolo 18 alla fine si troverà. Perché a dispetto delle schermaglie renziane, la trattativa sarebbe a buon punto. Basta leggere fra le righe delle sue dichiarazioni: il premier allarga il discorso, parla di «riscrivere lo Statuto dei lavoratori», e però allo stesso tempo rivendica i risultati del decreto Poletti - «ha creato 108 mila nuovi posti di lavoro» - che ha di fatto liberalizzato i contratti a termine.

La delega di riforma del mercato del lavoro è in discussione al Senato, nella Commissione guidata da Maurizio Sacconi. Se dipendesse dall’ex ministro lo si sarebbe abolito per tutti da un pezzo. Ma Alfano sa di non poter chiedere a Renzi uno strappo del genere alla sua minoranza, mentre ha tutto l’interesse a portare a casa lo scalpo del totem: la mano tesa di Berlusconi a Renzi sulle riforme è una ragione in più per spingere sull’acceleratore. «Aspetto una risposta alla riapertura dei lavori ai primi di settembre», dice Sacconi. «Siamo fermi su questo punto, per noi è lo snodo dell’accordo su tutto il resto»: dalla riforma degli ammortizzatori sociali - che punta ad allargare le tutele anche ai più giovani - a quella dei servizi all’impiego. «In ogni caso bene Renzi, perché è il primo leader della sinistra a dire che lo Statuto dei lavoratori va cambiato».

La strada scelta - quella della delega - non impone nemmeno la discussione sul testo: è sufficiente delegare il governo a riformare la disciplina del contratto a tempo indeterminato, introducendo (questa l’ipotesi della quale si sta discutendo) una sperimentazione triennale che confermi la sola tutela dai licenziamenti discriminatori. Resta il problema della minoranza interna al Pd; se al Senato la strada è in discesa, a Montecitorio la fronda è più ampia e per Renzi ottenere un sì è più complicato. Molto dipenderà dal calendario dei lavori: se la delega non andrà al voto prima della legge di Stabilità, il rischio di slittare al 2015 è molto alto. Eppure quella del mercato del lavoro è la riforma più attesa dai mercati: più di quella del Senato, più del piano di tagli di spesa. Doveva essere il primo punto in agenda del nuovo premier, che ha poi ripiegato sul decreto Poletti e rinviato il ridisegno complessivo del sistema alla delega. Quando Mario Draghi parla di «accrescere la produttività» di alcune economie europee, allude proprio a quella finora mancata riforma.

alessandro barbera


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