Economia
Se si ferma la locomotiva tedesca
un altro anno di recessione in Italia
Gli economisti: turismo e meccanica, i settori che soffriranno di più
Gli economisti: turismo e meccanica, i settori che soffriranno di più
Forse dovremmo smetterla di chiamarla «locomotiva». La probabile, brusca frenata dell’economia tedesca nel secondo trimestre ne dimostra ancora una volta tutta la fragilità. Il Paese che soprattutto dagli anni Novanta si è costruito un profilo da “Cina d’Europa”, da campione di esportazioni, è anche il più esposto a fattori esogeni. È trainato, in fondo, da locomotive che sono altrove: in Asia, negli Stati Uniti, nell’Est europeo. E quando lì scoppiano le crisi, come sta accadendo in Medio Oriente, o quando con alcuni partner commerciali i rapporti si incrinano, come sta accadendo con la Russia, la Germania si arena. E, rappresentando un terzo dell’economia prodotta nell’eurozona, il problema è che costringe anche gli altri a fermarsi. Più che locomotiva, è il vagone più lungo di un convoglio che ha il resto del mondo come testa. Ma che ha la forza, deragliando, di trascinare la coda con sé.
Il rischio, se la stagnazione tedesca dei mesi primaverili dovesse trascinarsi oltre e compromettere anche la seconda metà dell’anno, è molto chiaro: «l’Italia, e forse l’Europa, rischierebbero un altro anno in recessione». Ne è convinto Sandro Trento, che ricorda che all’inizio dell’anno le stime di crescita europee erano state riformulate in meglio proprio per una fiammata della prima economia europea: «se ora la Germania di ferma, costringerà tutti a fare lo stesso». Per l’Italia, in particolare, che accoglie ogni anno 12 milioni di turisti tedeschi, che è il quinto Paese esportatore verso la Germania, «è un guaio serio». Francesco Daveri, economista dell’università di Modena, ricorda che per alcuni settori dell’industria, come la meccanica strumentale, l’apporto tedesco è «cruciale».
Il punto debole dell’economia tedesca è da anni la sua anemica domanda interna: i salari ristagnano, ma anche gli investimenti - privati e pubblici - sono enormemente scesi, osserva Sandro Trento. Nel 2000 rappresentavano ancora il 22% del prodotto interno lordo, ora sono il 17%.
È vero che di recente sono accadute due cose che testimoniano una presa di coscienza, nel Paese di Angela Merkel, che anche la spinta interna vada rafforzata. Il governo ha approvato prima dell’estate il salario minimo da 8,50 euro all’ora, che dal primo gennaio del 2015 varrà per quasi tutti e che dovrebbe stimolare maggiormente i consumi, nei prossimi anni. Sarebbe una buona notizia anche per i partner europei.
Soprattutto, la Bundesbank, che ha sempre fatto della moderazione salariale un caposaldo delle sue prediche di politica economica, ha invitato esplicitamente i sindacati a pretendere rinnovi contrattuali più generosi. Una notizia talmente bombastica che da allora qualcuno ha cominciato a vedere davvero nero, per l’economia tedesca.
Ma proprio per questo, un fronte che secondo Francesco Daveri andrà monitorato da vicino nelle prossime settimane perché potrebbe riservare delle sorprese, è quello della Bce. Se la Germania si ferma, l’economista è convinto che potrebbe anche sbriciolarsi la granitica opposizione dei tedeschi - e della Bundesbank - all’ipotesi di un quantitative easing, di un acquisto in massa di titoli privati e pubblici da parte della Banca centrale europea, per stimolare l’economia dell’area euro. «Credo che già a settembre, in virtù di questi dati tedeschi, potremmo aspettarci una sorpresa, da questo punto di vista». Anche perché, aggiunge, «l’inflazione sta decelerando molto velocemente».
E quello della deflazione è ovviamente il rischio più temuto, per l’eurozona. Il dato diffuso ieri dall’Istat sull’inflazione in Italia, piombata a 0,1% e già negativo in dieci città, è preoccupante. Anche se Draghi continua ad allontanare per l’Europa scenari “giapponesi”, cioè periodi prolungati di prezzi in calo come è avvenuto nell’ultimo ventennio nel Paese ora rimesso in moto da Shinzo Abe, si moltiplicano gli analisti che reputano questo pericolo come sempre più concreto.