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venerdì 2 agosto 2013

Calabresi: ma il conto non lo paghi il paese

LA STAMPA

Cultura

Ma il conto non lo paghi il paese

Ora c’è da chiedersi se bisogna far pagare il conto della condanna di Berlusconi al Paese, a tutti gli italiani, o se per una volta la razionalità può prevalere. Se possiamo provare ad uscire dalla crisi in cui siamo sprofondati o se ci dobbiamo imbarcare in una nuova stagione di grida, lacerazioni e campagna elettorale (sempre con la stessa terribile legge, dettaglio da non dimenticare mai).

Enrico Letta ieri mattina, mentre i giudici della Cassazione entravano in camera di Consiglio, si riuniva per cominciare a preparare il semestre di presidenza italiana della Ue che inizierà il primo luglio dell’anno prossimo. L’unica salvezza pare quella di guardare avanti, caparbiamente, senza farsi travolgere dai colpi di coda di un ventennio di rissa continua.

Il Paese può immaginare un percorso, può sperare di vedere crescere quei fili d’erba di ripresa che vengono segnalati in alcuni segmenti produttivi (grazie soprattutto alle esportazioni), può sperare di vedere il segno positivo di fronte ai dati sul Pil a partire dal prossimo anno e avrebbe diritto ad avere un governo che su questo si concentra. Oggi in Italia la domanda è una sola: i miei figli troveranno lavoro, io salverò il mio?

Tutto il resto non è fondamentale di fronte all’angoscia di un futuro che si sbriciola.

La Cassazione si è pronunciata, un iter giudiziario è finito, si può protestare la propria innocenza e denunciare una persecuzione ma a questo punto non esistono scappatoie, spallate o forzature. Esistono solo iter che ci si augura siano corretti e ordinati.

Il presidente della Repubblica ha invitato a rispettare la magistratura, il segretario del Pd Epifani fa capire che il suo partito è pronto a portare avanti l’esperienza di governo ma non a tollerare strappi istituzionali e colpi di testa del partito di Berlusconi. Siamo a un bivio, in poche ore potrebbe sfasciarsi tutto ancora una volta o si potrebbe finalmente vivere in un Paese in cui una sentenza, che colpisce un politico nelle sue vesti di imprenditore, non determina il destino di un governo.

Gli italiani assistono, la gran parte come spettatori, a questo finale. Guardano da fuori chi ha in mano il loro futuro e scrutano per vedere se verrà appiccato l’incendio. Sono convinto che quelli che lo auspicano siano una minoranza, non perché la maggioranza ami l’idea di un governo di larghe intese ma perché prevale lo sfinimento e la nausea verso la guerra totale. Una guerra che non ha costruito nulla e che ha trascinato la politica in fondo alla scala del gradimento e della stima.

I prossimi giorni saranno cruciali, la navigazione sarà difficilissima, ma la domanda fondamentale è se la maledizione italiana, essere sempre prigionieri del passato, condannati a vivere con la testa che guarda all’indietro, sia destinata a protrarsi o possa svanire.

La Cassazione mette la parola fine, è sempre così, a un percorso e a una storia giudiziaria. E non deve certo essere l’inizio della nostra fine.

Mario Calabresi


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