Italia
Al Senato
Al Senato
Prove di nuova maggioranza
Senza Pdl servono 21 senatori
Pronto al dietrofront anche l’ex Idv Scilipoti, oggi berlusconiano
Pronto al dietrofront anche l’ex Idv Scilipoti, oggi berlusconiano
I senatori tracciano diagrammi a torta o a colonna sulla spiaggia. Fanno i conti, ora che di colpo si moltiplicano retroscena sull’uscita del Pdl dal governo, e sulle maggioranze alternative a Palazzo Madama. Valutano la tenuta morale dei colleghi, la posta in palio, le offerte sul piatto. La domanda che tutti si pongono è: chi saranno i traditori nel partito di Silvio Berlusconi?
Ricominciamo da capo: al Senato servono 159 voti per tenere su l’esecutivo. Pd più Scelta civica più il gruppo delle autonomie fanno 138. Ne servono altri ventuno. Dal misto (che contiene sette vendoliani) ne può arrivare una decina. Quelli di Sel si pensa che accetterebbero per portare a casa qualcosa con la Finanziaria e soprattutto per ottenere una riforma della legge elettorale da costruire senza che i berlusconiani ci mettano becco. Poi c’è il gruppo Gal (Grandi autonomie e libertà), nato perché il Pdl gli ha prestato alcuni parlamentari al di sopra di ogni sospetto, per esempio un vecchio gentiluomo liberale come Luigi Compagna. Ma anche lì dentro tre o quattro che non hanno voglia di tornarsene a casa si dovrebbero scovare. Si calcola che almeno cinque o sei grillini siano disposti a mollare Beppe Grillo, e la maggioranza eccola raggiunta. O a un passo. Diciamo cinque o sei grillini fidandoci di un leghista che sbaglia di rado: «Ho fatto un’indagine, i numeri per ora sono quelli».
Le previsioni a spanne non tengono conto delle disponibilità che la politica concede ampie. Siamo soltanto all’inizio e già ieri è uscita la notizia spettacolare di un Domenico Scilipoti pensieroso. L’ex dipietrista, passato con Berlusconi alla fine del 2010 per compensare la fuga all’opposizione dei finiani, intervistato dall’Espresso ha detto che la squadra di Enrico Letta «sta risollevando il Paese, sta dando prestigio internazionale. Ognuno lavori per creare le condizioni per andare avanti». Avviarsi al voto col porcellum sarebbe inutile, e dunque, se ci fosse crisi di governo, «ogni parlamentare ha a disposizione l’articolo 67 per fare buon uso del proprio mandato: essere responsabili». Ecco, quello che disse l’altra volta: non c’è vincolo di mandato, ognuno decida per sé. E così Scilipoti ha l’aria di essere pronto a tornare a sinistra pur di non tornare all’opposizione. La scelta, oltre ad arricchire la figura letteraria di Scilipoti, dà l’idea di come nulla sia sotto controllo, e che di scilipotianamente patriottici non ne mancheranno. Non c’è nemmeno bisogno dell’epico tradimento alla Dino Grandi, e infatti circolano ipotesi sui soliti notabili siciliani (compreso Salvatore Torrisi, un avvocato catanese sulla cui rettitudine nel Pdl giurano), forse anche con un po’ di pregiudizio antropologico.
Lasciando perdere i pallottolieri, a palazzo si fa una considerazione solida: mollando Letta, il Pdl lascerebbe liberi posti da ministro, ma soprattutto da viceministro e sottosegretario da distribuire a chi desse una mano. Dice un senatore ex Forza Italia: «Nel Pdl capita sempre qualcuno che arriva in Parlamento un po’ per caso, e che magari non confida molto in una ricandidatura. È gente che conosciamo appena, e che forse spera di portare fino in fondo la legislatura». Gianfranco Micciché spiega: «So per certo che nel Pd stanno già lavorando alla campagna acquisti». Il risultato evidente è che Letta avrebbe l’opportunità di proseguire senza troppe difficoltà. «Credete che ci sfiderebbe così se non avesse le spalle coperte?», dice un senatore pidiellino. La questione matematica lascia dubbi, ma pochi, e molti meno di quelli che sorgono se si pensa a una maggioranza così nuova, così eterogenea e così estemporanea. Si tratterebbe di mettere assieme i neocomunisti vendoliani con Scilipoti, gli ex pidiellini e con gli ex grillini, e costruire un sostegno all’esecutivo che non avrebbe obiettivi politico, ma soltanto uno scopo tattico: tirare avanti un po’, rispondere a qualche esigenza europea, magari infilare due riforme più popolari che decisive, pensare alla legge elettorale. Sempre in bilico, con il seguito di rivendicazioni, di liti, con le bandierine sventolate: così ragionano nei dintorni di Arcore, pensando che una soluzione del genere sarebbe addirittura favorevole. I sondaggi dicono che il Pdl è già davanti al Pd. Però dicono anche che Matteo Renzi è sempre il preferito dagli italiani. E chissà, il desiderio di capitalizzare magari percorre qualche area del centrosinistra.
Mattia Feltri