ebook di Fulvio Romano

lunedì 26 agosto 2013

Il "giovane" Holden-Angelino sale al Quirinale...

LA STAMPAw

Italia

Angelino Alfano

L’uomo camaleonte oltre i falchi e le colombe

Da leader del partito post Cavaliere si è trasformato presto in lealista

Dice un amico (suo): «È come quegli attori di provincia che cambiano berretto per cambiare personaggio». Una volta dicevano che Angelino Alfano fosse duttile. Era una qualità: convesso coi concavi e concavo coi convessi. Fedele al capo, tollerante coi dissidenti, dialogante con gli avversari. Beneducato ma non remissivo, pugnace all’occorrenza, sempre con la mano tesa. Cattolico ma non baciapile, laico ma non laicista, democristiano ma non nostalgico, giovane ma legato alle sane tradizioni, difficilmente iscrivibile a una corrente e di conseguenza iscrivibile a tutte. Da ragazzino, in Sicilia, stava con Gianfranco Miccichè, poi scelse Totò Cuffaro, infine Renato Schifani, però sempre col giusto distacco. Lettiano prima che Enrico Letta diventasse premier, a tratti non troppo lettiano ora che lo è diventato. Ci si ritrova ai tavolini del bar a fare il gioco dell’estate: ma Alfano è falco o colomba?

Dicono gli amici (suoi): «Qualche sera fa, lui e i suoi sodali colombe si sono ritrovati a cena a organizzare il partito di domani, quello deberlusconizzato». Sarà uno dei tanti pettegolezzi che misurano la politica di oggi, così senza spina dorsale. Sarà una fantasia maligna ma dà il senso di come è evoluta l'opinione su Alfano nel corso dei due anni e due mesi, dal giugno 2011, quando diventò segretario del Pdl. Si reinterpretava il jingle della pubblicità di una camomilla (lo si faceva con garbo, con la simpatia che ispirava il quarantenne designato alla successione): «Angelino / che meraviglia / piace al papà, alla mamma e alla figlia». A proposito di amore filiale, sabato, ad Arcore, spalleggiando i suoi sodali falchi nella scelta per la fatale ridotta, ha detto a Silvio Berlusconi: «Ti voglio bene come a un padre». Lo ha detto così, in mezzo a tutti, con lo slancio di chi non arrossisce a squadernare i sentimenti più intimi. Che strano tipo che è Alfano: falco o colomba? Se è colomba che colomba è, la colomba che progetta il futuro a capo accantonato? E se è falco che falco è, il falco che va dal capo e gli confessa il legame più dolce e profondo?

Non se ne viene a capo. Quando nel 2008 Berlusconi lo scelse per l’incarico di Guardasigilli, si disse che metteva lì il valletto. I vignettisti disegnavano Angelino da ragazzo di bottega o da cameriere, coi calzoni corti e il vassoio in mano. Si pronosticavano gli sfracelli, riforme sanguinose, carriere separate a colpi d’ascia. Mai c’era stato un ministro della Giustizia di così evidente emanazione berlusconiana. E invece - capolavoro - fu l’inquilino di largo Arenula che ebbe meno problemi coi magistrati. Niente contrasti, lontane secoli le zuffe con Giovanni Conso, Alfredo Biondi, Filippo Mancuso, Giovanni Maria Flick, Roberto Castelli. Fece esattamente come si deve fare: non fece nulla. Qualche ritocco politicamente trascurabile alla giustizia civile e semplice supervisione garbata a quella penale, più un lodo che avrebbe dovuto garantire a Berlusconi un quinquennio al riparo dai processi. Macché. Però garantì ad Alfano la riconoscenza del leader e il titolo di ragazzo di buona volontà.

Proclamato segretario, avrebbe perso rapidamente parte della stima. La storia che non aveva il quid, per diagnosi di Silvio, la conoscono tutti. Non è nemmeno il punto. L’aspetto più strano della vicenda è che a governo caduto, e insediato l’esecutivo dei tecnici di Mario Monti, il mondo intero si convinse che Berlusconi non si sarebbe mai più candidato, e se ne convinse anche Alfano, che col mondo è sempre in sintonia. E poi tutti gli dicevano che era il suo turno. Si sarebbero fatte le primarie e lui le avrebbe vinte. Però Berlusconi è un tipo strano, si sa. Un giorno diceva che le primarie andavano bene e il giorno dopo che erano una solenne cretinata. Un giorno che Alfano era il suo erede politico e il giorno successivo che i sondaggi erano un disastro. «Non siamo barzellettieri», esclamò il quarantenne l’unica volta in vita sua in cui abbia perso la calma in pubblico. Pareva che d’un tratto avesse scovato il quid. Era il capo incontrastato dei «primaristi», ma allo stesso modo divenne il capo incontrastato dei lealisti mezzora dopo che Berlusconi aveva annunciato che niente, il partito restava com’era, l’aspirante premier «sono io». E Alfano, che nel frattempo era andato (con tutte le colombe, Fabrizio Cicchitto, Gaetano Quagliariello, Beatrice Lorenzin...) a Italia Popolare, la convention romana di Monti, smise con altrettanta franchezza di essere montiano. Ne chiese le dimissioni da senatore a vita. Riprese a marciare al passo dell’oca. Si batte su ogni fronte. È al governo ma va bene se il governo cade, va a trattare con Letta ma va bene se Berlusconi delle trattative se ne impipa, parla col Quirinale ma il Quirinale che potrà fare mai? Sarà falco o sarà colomba, di certo sa dove mettere il becco.

Mattia Feltri