Italia
Il vertice ad Arcore
Il vertice ad Arcore
Ma Berlusconi rifiuta il salvagente del rinvio e insiste: meglio le urne
Le squadre di soccorso che tentano di salvare Berlusconi hanno un problema: Silvio non desidera affatto essere tirato a riva. Anzi, respinge quasi con rabbia il salvagente lanciato dalle «colombe» (e da certi ambienti vicini al premier) che stanno cercando di rinviare la sua decadenza da senatore, purché lui rinunci a far saltare il governo. L’obiettivo del Cavaliere è invece proprio quello di provocare la crisi e di tornare alle urne il più presto possibile, senza perdere altro tempo. Questa frenesia ha una spiegazione. Prima incomincerà la campagna elettorale, e più a lungo Berlusconi vi potrà partecipare a piede libero; dopo il 15 ottobre, invece, penderà sul suo capo la condanna a un anno di carcere (nove mesi effettivi da scontare), per cui un ritardo delle urne lo costringerebbe a guardarsi gli ultimi comizi dalla televisione. Poi c’è un altro calcolo che spinge l’uomo a stringere i tempi della crisi: da novembre gli scatteranno come una tagliola le pene accessorie, tra cui l’interdizione dai pubblici uffici. Se vorrà ricandidarsi al Parlamento, dovrà averlo fatto prima. Ma non c’è già la legge Severino che lo rende incandidabile? Già, rispondono dalle parti di Arcore, ma contro quella si può sempre fare ricorso al Tar e tenere viva quantomeno la speranza...
Insomma, chi ha sentito ieri Berlusconi l’ha trovato incrollabile. Per scatenare la crisi, prenderà pretesto dalla decisione della Giunta, che il 9 settembre voterà la sua cacciata (sebbene Verdini gli abbia promesso di far cambiare idea a 3-4 commissari Pd). Qualche esponente Pd vicino a Letta, come Sanna, sostiene che Berlusconi dovrebbe decadere da senatore, ma che la Giunta potrebbe ascoltare le sue ragioni a patto che lui si presenti a illustrarle con serietà. Peccato che il Cavaliere, di recarsi in Giunta, non ci pensi nemmeno. La grazia sembra non interessargli, a meno che si tratti di «un risarcimento per quello che i magistrati mi hanno fatto passare»: ipotesi del tutto fantascientifica.
Alfano è andato a fargli visita e a riferirgli che il 30 agosto l’Imu verrà cancellata: «A quel punto come giustificheremmo la crisi?». Sottinteso: ci prenderebbero per matti. Ma Berlusconi non si scompone. È assai soddisfatto dell’apologo, sfoderato in un’intervista a «Tempi», con cui conta di spiegare al volgo la rottura col Pd: «Se due amici sono in barca e uno dei due butta l’altro a mare, di chi è la colpa se poi la barca sbanda?». Tra l’altro Letta (il nipote, non zio Gianni) lo convince sempre meno. Ai suoi occhi è in forte disgrazia. Capezzone, Verdini e la Santanchè gli hanno insinuato il sospetto che Enrico voglia guadagnarsi la «nomination» del Pd soffiandola a Renzi, quindi potrebbe ritrovarselo come avversario, dunque basta sostenerlo.
Il dado sembra tratto. E quanti tra i suoi strateghi l’hanno esortato a fare bene i conti con Napolitano, il quale mai scioglierebbe le Camere senza una riforma preventiva del Porcellum, si sono sentiti rispondere così: «Se il Quirinale resisterà, i parlamentari Pdl si dimetteranno in massa, e a quel punto il Capo dello Stato non potrà non prenderne atto...». Gasparri l’aveva teorizzato già mesi addietro. E certi senatori, come Minzolini, quella lettera di dimissioni ce l’hanno già pronta in tasca. Grande soddisfazione hanno suscitato, specie tra i «falchi», le esternazioni di Grillo, lanciatissimo verso le urne. Si sussurra nel Pdl di contatti riservati coi Cinque Stelle per spianare il terreno delle elezioni, si vocifera di un Casaleggio ansioso di godersi lo scontro apocalittico di cui saranno protagonisti Berlusconi e Grillo, il mago delle tivù contro il genio della rete.
ugo magri