Economia
Il governo ringrazia Francoforte
“Scende il costo delle riforme”
Per capire la portata rivoluzionaria della decisione di ieri di Mario Draghi occorre fare un piccolo viaggio nel tempo, per la precisione ai primi di maggio dell’anno scorso, e atterrare ad Aylesbury, nel Buckinghamshire. Nel piccolo castello della campagna inglese, fra mucche e campi da golf, si riunisce uno dei tanti vertici G7 dei ministri finanziari. A Palazzo Chigi c’è ancora Enrico Letta, al Tesoro siede l’ex direttore generale di Banca d’Italia Fabrizio Saccomanni. Sul vertice incombe un articolo dello Spiegel, il quale ha appena rivelato le preoccupazioni di Wolfgang Schaeuble a proposito dell’ipotesi - già allora ventilata ai piani alti della Bce - di acquistare «Asset Backed Securities» di alcuni Paesi europei, fra cui ovviamente l’Italia. «Un finanziamento nascosto agli Stati», per dare «fiato alle banche nazionali», addirittura - questa la tesi del ministro tedesco riportata dal giornale - «in violazione dei Trattati». L’indiscrezione fa rumore, al punto da spingere Draghi a incontrare i giornalisti sotto la pioggia per rasserenare gli animi: «Si tratta solo di una delle opzioni allo studio».
Le parole d’ordine in politica sono efficaci, ma non c’è niente di più efficace delle decisioni che, dietro al velo di quelle stesse parole, permettono di ottenere risultati senza dare nell’occhio. Se c’è una misura non convenzionale che può dar respiro alla ripresa, e in particolare a quella italiana, è proprio la novità annunciata ieri dalla Bce. Draghi non è un politico, o meglio, le armi dei capi di Stato non sono nella disponibilità del suo arsenale. Discutere di flessibilità o firmare «un nuovo patto per la crescita» è materia per Renzi, la Merkel, od Hollande. La Bce, che pure è costretta a riempire i vuoti decisionali della politica, ha fra i suoi compiti quello di far funzionare il mercato del credito, il quale, nonostante enormi masse di liquidità e tassi di interesse ormai negativi, fatica a concedere fondi alle imprese. Acquistare «Abs», ovvero pacchetti di titoli, crediti ed obbligazioni in mano alle banche rientra fra gli interventi utili a quell’obiettivo. Non è un caso se i titoli che ieri hanno brillato alla Borsa di Milano erano i bancari. E non è un caso se, pur senza enfasi, a Palazzo Chigi e al Tesoro si respirava ottimismo. «Ora abbiamo un’opportunità in più, perché il costo delle riforme si abbassa», dice Filippo Taddei, l’economista più esperto di finanza fra quelli che lavorano con Renzi. «Nessuna manovra di politica monetaria può sostituire l’urgenza delle riforme», aggiunge cauta una fonte del Tesoro. Piercarlo Padoan conosce i tedeschi e il loro modo di ragionare. Sa che l’errore più marchiano - e il peggior sostegno alla strategia di Draghi - sarebbe dare la sensazione di voler comprare tempo. L’efficacia delle mosse della Bce dipenderanno anche dalla capacità dell’Italia di rispettare gli impegni. È questo il senso del grande scambio fra Roma e Berlino del quale Draghi si sta facendo garante.
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ALESSANDRO BARBERA