ebook di Fulvio Romano

martedì 27 agosto 2013

I Falchi sono costati ieri a B. Oltre 150 milioni

LA STAMPA

Economia

Le minacce dei falchi costano al Cavaliere oltre 150 milioni

Il Biscione crolla del 6%, pesa anche Mediolanum

Farsi del male da soli. Cosa voglia dire anche solo ipotizzare una crisi di governo al buio sperando di imboccare la via incerta di elezioni anticipate, Silvio Berlusconi l’ha sperimentato ieri in prima persona sul portafoglio di famiglia. In Borsa i titoli della sua galassia, a cominciare da Mediaset, sono finiti al centro delle vendite degli investitori. E a sera il conto è stato assai salato: il Cavaliere di Arcore ha visto evaporare in poche ore di contrattazioni circa 155 milioni. Per lui i mercati hanno fatto suonare la campanella di avvertimento. Mediaset è stata dapprima sospesa per eccesso di ribasso, tant’era la pressione in vendita. Rientrata in contrattazione è arrivata a perdere fino al 7% per chiudere con un -6,25%, mandando in fumo 266 milioni di capitalizzazione. Per la famiglia Berlusconi che, tramite Fininvest, detiene il 41,2% del gruppo televisivo si è tradotto in una perdita (virtuale) da quasi 110 milioni di euro. Poi ci sono le altre partecipazioni che il clima di incertezza politica ha pure trascinato al ribasso. Si parla di Mediolanum, che ha perso ieri il 3,1% (45 milioni circa in meno per il Cavaliere), oppure di Mondadori che con un -1,44% ha fatto evaporare altri 1,8 milioni. Unica magra consolazione: Molmed, che ha guadagnato il 7%.

Il tonfo che fa più rumore è senz’altro quello del gruppo di Cologno Monzese, la televisione cui il Cavaliere deve tutte le sue fortune. Dall’inizio dell’anno, complici mercati meno turbolenti e uno spread che ha concesso quartiere, il titolo ha guadagnato oltre il 100%. Per dire: quando Enrico Letta si è insediato a Palazzo Chigi - era il 28 aprile - il titolo del Biscione valeva 1,90 euro. Ieri sera 3,15 euro, il 65% in più. Miracoli di quella stabilità che aveva condotto ai «timidi segnali di ripresa» di cui Letta va parlando da settimane e che tanto bene avevano ingrassato il patrimonio di Berlusconi. Dall’inizio dell’anno proprio in virtù della corsa del Biscione e di quella della banca guidata dall’amico Ennio Doris (Mediolanum, anche grazie alla riduzione dello spread, segna un +44% da gennaio) nei forzieri di Arcore si sono riversati altri 1,12 miliardi, portando il patrimonio del Cavaliere a quota 5,68 miliardi di euro, la numero 33 al mondo, secondo l’agenzia internazionale Bloomberg. Ora gli investitori, con l’ipotesi crisi di governo, vedono meno certezze nel futuro. «E Mediaset - spiega un analista - è un titolo molto ciclico, che amplifica nel bene o nel male le oscillazioni del mercato». Dopotutto nelle sale operative si ricordano ancora il primo storico rosso segnato a fine 2012 (235 milioni di euro, soprattutto a causa delle svalutazioni) e nutrono speranze per l’anno in corso. Il consensus, ovvero la media delle stime degli analisti, prevede per il 2013 un ritorno a un seppur magro utile, a quota 37-38 milioni di euro. I primi segnali? La pubblicità che dopo i cali a due cifre visti nel 2012 si sono dapprima dimezzati per cambiar segno a luglio e ad agosto, quando gli spot sono saliti del 3%. Segni di ripresa che - si teme nelle sale operative - ora potrebbero sacrificarsi sull’altare dei falchi del Pdl. E a cui i manager dell’impero del Cavaliere - a cominciare dai figli Marina e Pier Silvio, fino a Fedele Confalonieri e Doris - guardano con molta diffidenza, pensando, appunto, alle aziende. Insomma: senza un governo, senza questo governo, l’impero potrebbe soffrire. E non poco. «Si intravede il rischio che la stabilizzazione dei ricavi pubblicitari possa interrompersi sul più bello», nota un analista a proposito di Mediaset.

Poi c’è la lettura più strettamente politica. Molti ricordano come la Borsa (agendo sul titolo e a livello più generale incidendo sullo spread) fu tra le più solerti, nel novembre 2011, a spingere per le dimissioni del Cavaliere. Oggi lo stesso? Ieri la Borsa di Londra era chiusa. Non un dettaglio da niente. Vuol dire che ad operare - e quindi a vendere - sul mercato c’erano per lo più investitori tradizionali, come fondi comuni o fondi pensione europei o americani, che vendevano per prendere beneficio o su timori di prossime instabilità. Per oggi, invece, con la riapertura della City, sale il rischio speculazione: torneranno su piazza gli hedge fund più attivi sul mercato europeo. Senza segnali di pace, la pressione sul Cavaliere e i suoi falchi potrebbe dunque salire ulteriormente.

francesco spini


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