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Italia
L’Italia e la fine del ceto medio
La recessione ha allargato un processo che è iniziato da lontano. Oggi il dieci per cento della popolazione sopra i 55 mila euro all’anno è separato da un fossato da tutti gli altri
La povertà cresce fino al 14%, le classi si disarticolano e la politica sembra fare poco. Un fenome no che ha specificità italiane, ma che si estende Oltreoceano. Quali le conseguenze della crisi?
La crisi e la recessione italiana sono un fenomeno che parte da lontano, ma si sta acuendo (il -0,2 del Pil dell’ultimo trimestre è solo una spia, unita all’aumento vertiginoso del debito pubblico, che sta crescendo al ritmo di 16 miliardi ogni 30 giorni). Soprattutto, la crisi assottiglia la classe media, inasprisce le sperequazioni e caratterizza in modo sempre più marcato la «piramide» sociale, alimentando anche un senso di sfiducia sempre più diffuso. Il 10 per cento può dirsi benestante, con redditi che superano i 55 mila euro lordi, mentre metà degli italiani non supera i duemila euro al mese. I giovani sono (come sempre) quelli che pagano di più: mentre i redditi degli anziani e della fascia 55-64 sono saliti in termini relativi, quelli della fascia 19-30 sono molto scesi, anche del 12-14 per cento. Le cose non stanno andando molto meglio altrove, in Paesi paragonabili (la Francia ha annunciato che non resterà dentro i limiti del 3% del deficit-Pil). O, in contesti diversi, in America più della metà dei cittadini dovrebbe indebitarsi per sostenere una spesa di 400 dollari. È quasi come se si avverassero certe profezie marxiane sulla fine del ceto medio. E la soluzione ancora non si conosce
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