ebook di Fulvio Romano

lunedì 11 agosto 2014

Il ritorno dolce delle api

LA STAMPA

Cultura

Il dolce ritorno delle api

Le api sono di moda. Di sicuro ha contribuito «Le meraviglie», di Alice Rohrwacher, premiato a Cannes. Oggi ci sono parecchie persone in Italia che stanno apprendendo i rudimenti dell’apicoltura. Il consumo di miele è aumentato, e al pari del protagonista del film, il tedesco Wolfgang, nel bel mezzo della crisi, in molti si stanno convertendo a un’economia autarchica, in cui il miele e la cera prodotte degli infaticabili insetti dorati assumono anche un ruolo simbolico. Ritorno alla natura? Wolfgang ne «Le meraviglie» è un uomo della generazione post-sessantotto, rifugiato in Toscana, non nella celebre zona del Chianti, bensì in quella più povera e abbordabile del Grossetano; un alternativo, un ex-contestatore, che si dedica con un’imprescindibile vena apocalittica alla cura delle arnie.

L’alveare ha un indubbio fascino: la città dell’oro, come scriveva anni fa Giorgio Celli, l’etologo-poeta, introducendo il bel libro di Maurice Maetelink, «La vita delle api» (Rizzoli), poeta a sua volta, belga e premio Nobel nel 1911. L’arnia è una «mitica Samarcanda vigilata da coorti di custodi implacabili, abitata da un popolo operoso di schiave devote, retta da un Satrapo/femmina, la regina, che sola detiene le chiavi della vita, frequentato, a periodi, da labili falangi di maschi destinati a un precoce sacrificio, è un’allegoria entomologica del mondo» (Celli). L’apicoltura è in prevalenza un’attività maschile, come conferma il protagonista del film della Rohrwacher, che è l’ape regina maschio della sua famiglia composta di sole femmine: la moglie, le tre figlie e la coinquilina. La vita delle api, fornitrici di dolcissimo miele e profumata cera, è «un dramma senza dialogo». Forse ciò che attira in questa conversione all’allevamento dell’insetto dorato è la forma dell’aggregato che si cela dentro l’arnia, la metropoli del miele e della cera (Celli), microcosmo operoso e funzionale, votato alla costruzione indefessa di un edificio collettivo esagonale perfetto.

L’uomo non fa nulla, o quasi. Sposta in alcune stagioni dell’anno le arnie in campi favorevoli, estrae il miele e mediante le macchine lo raffina, lo mette nei vasetti di vetro e lo commercializza. C’è qualcosa di riposante, e insieme d’attivamente parassitario in quest’attività, cosa che spiega, oltre la ricerca di attività di sostentamento, la diffusione dell’apicoltura in questi anni di crisi, non solo economica ma anche di mancanza di motivazioni profonde. Le api per istinto sanno perché lo fanno.

Marco

Belpoliti