Cultura
ASSUNZIONI A SCATOLA CHIUSA
La sorpresa annunciata da Renzi alla fine c’è stata; anzi, più d’una. Le 150 pagine sulla «buona scuola» del governo contengono diverse novità, oltre a essere redatte in modo moderno e brillante: si tratta senza dubbio dello sforzo più cospicuo e articolato che – dai tempi del ministro Luigi Berlinguer – un governo italiano abbia fatto per mettere la scuola al centro dell’agenda pubblica. Uno sforzo che peraltro richiederà investimenti di risorse ben superiori ai risparmi che il governo conta di ottenere dall’abolizione del precariato. Quello delle risorse aggiuntive per la scuola resta il grande interrogativo a cui – al di là dei giudizi di merito - Renzi e il ministro Padoan dovranno dare risposta.
Non potendo parlare di tutto – già il solo capitolo sulla finora trascurata questione dell’alternanza scuola-lavoro meriterebbe uno specifico commento come pure la trascuratezza con cui (non) si parla di valutazione – ci fermiamo sulle novità che riguardano gli insegnanti. Del resto, la buona scuola la fanno i buoni insegnanti, cioè quelli ben preparati e motivati, accuratamente scelti e adeguatamente retribuiti.
I due principi fondamentali da cui parte il documento sono del tutto condivisibili. Primo, basta con una scuola che fa un uso smodato di supplenti precari. Non è solo questione di condizioni di lavoro. È che ne va della qualità dell’offerta formativa, a partire da quella garanzia di continuità didattica che è lecito attendersi da una «buona scuola». Secondo, basta con avanzamenti di retribuzione e carriera basati solo sull’anzianità di servizio; chi fa di più e meglio va premiato.
Bene, dunque, i principi. Qualche dubbio, invece, sulle specifiche misure: sarà bene discuterne a fondo, nelle settimane di consultazione che il governo ha promosso.
Per risolvere una volta per tutte il fenomeno del precariato «storico» l’idea è di assumere nel 2015 tutti i 150 mila iscritti alle cosiddette graduatorie ad esaurimento. All’assunzione di tutti i precari si aggiungerebbe, sempre nel 2015, quella per via di concorso di altri 40 mila nuovi docenti abilitati. Gli insegnanti in più non solo servirebbero a quasi eliminare le supplenze, ma permetterebbero – nella logica innovativa dell’organico “funzionale” - di svolgere tutte le attività necessarie a una scuola di qualità: programmazione, supporto ai più deboli, scuola al pomeriggio ecc. Mentre siamo favorevoli all’assunzione per concorso di giovani leve di insegnanti, meno ci convince l’ipotesi di prendere – come dire, a scatola chiusa – tutti i precari delle graduatorie: non si può escludere che siano ottimi insegnanti, ma nemmeno lo sappiamo, perché provengono da percorsi formativi disparati e spesso inadeguatamente certificati. Anche per loro ci vorrebbe una verifica della qualità professionale attraverso un concorso nazionale.
Dubbi anche sul meccanismo per premiare il «merito»: ogni tre anni è previsto un incremento retributivo che spetta solo ai due terzi dei docenti di ciascuna scuola, in base soprattutto alla qualità della didattica. Non è però chiaro quali siano i criteri di giudizio con cui il nucleo di valutazione della scuola (non si capisce se include il preside) dovrebbe selezionare beneficiari ed esclusi, se questi criteri siano omogenei a livello nazionale, ecc. Ci sembra, inoltre, semplicistica l’idea che per motivare gli insegnanti a fare meglio sia sufficiente metterli in competizione su un incentivo solo monetario, favorendo, come si dice esplicitamente, la mobilità fra le scuole di chi non ottiene il premio. Assai più convincente sarebbe stata la scelta di un percorso di carriera articolato, così da riconoscere agli insegnanti migliori, e disponibili a lavorare di più, passaggi di grado (e di retribuzione) corrispondenti alle maggiori responsabilità. In quel modo non si rischierebbe ogni tre anni un tourbillon di docenti dannoso per le scuole, ma si premierebbe la costituzione di un nucleo stabile di buoni insegnanti in ciascuna di esse, favorendo il lavoro di squadra e la crescita della qualità dell’offerta formativa. Che, alla fine, è ciò che le famiglie si aspettano.
*Direttore Fondazione Agnelli
Andrea Gavosto*