Cultura
Se va in crisi
il «modello
francese»
C’era un tempo, nemmeno tanto lontano, in cui la sinistra italiana guardava al leader del Ps francese come a un oracolo. Parigi, la gauche, la retorica dei diritti, gli intellettuali «engagé».
E poi, ancora, il fascino machiavellico di Mitterrand, la coerenza radicale di Jospin, padre (con Martine Aubry) delle 35 ore. Ma con quale occhio i militanti della Festa dell’Unità di Bologna scruteranno oggi pomeriggio Manuel Valls, il primo ministro che chiuderà la manifestazione insieme a Matteo Renzi?
Fino a centosessanta giorni fa Manuel Valls era il socialista più popolare di Francia. Oggi è un uomo solo che tenta di salvare capra e cavoli, il governo e la sua personale reputazione. La caduta senza rete e senza fine di François Hollande lo sta trascinando nel gorgo. Domenica scorsa a La Rochelle i militanti lo hanno anche fischiato. I capi delle correnti Ps (che in Francia vengono chiamati «elefanti») tacciono nell’attesa di veder passare sulla Senna davanti a Palais Bourbon, sede dell’Assemblée, il cadavere del suo secondo governo. Potrebbe succedere già il 16 settembre, quando Valls presenterà il suo programma. Il governo è in carica, secondo il sistema francese la sua legittimità discende dall’investitura presidenziale. Ma una sfiducia sarebbe difficile da reggere. Ormai perduti tutti gli altri alleati della sinistra un tempo «plurale», qualche decina di «frondeurs» sono in agguato nel Ps. Il programma di governo largamente social-liberale renderebbe del tutto plausibile qualche voto da destra: ma nella politica francese è inconcepibile un’idea anche pallida di larga coalizione. O di qua o di là.
Se fino a prima della sconvolgente comparsa del feuilleton erotico-politico della sua ex compagna Valérie Trierweiler Hollande sembrava deciso anche a un governo di minoranza per sfidare le resistenze di un paese dov’è più facile far le rivoluzioni che le riforme, ora l’esercizio appare inimmaginabile. E dunque insieme a questo spettacolare dramma nazionale che si sta svolgendo tra l’Eliseo e l’Hotel de Matignon, il palazzo presidenziale e l’ufficio del primo ministro, un’altra crisi epocale si sta aprendo: l’architettura della Quinta Repubblica rischia di sfasciarsi.
Ma come? Non era il sistema più sicuro? Ad ogni discussione italiana su riforme ed elezioni, il «modello» francese appariva come una sicurezza. Alla sinistra piaceva il maggioritario a doppio turno; alla destra il presidenzialismo, pudicamente chiamato «semi presidenzialismo», come per mascherare la natura quasi monarchica del sistema. E ora? Quelle istituzioni, costruite da De Gaulle per superare la rissa continua e inconcludente della Quarta Repubblica – proporzionale e parlamentare – dovevano essere uno scudo anticrisi permanente. E così è stato. Ma tutto questo funziona se il presidente-monarca preserva la sua vita e il suo statuto dalle interferenze esterne. «Camere stagne», diceva De Gaulle. Quello che non era previsto e mai si era verificato è un vaudeville umano e politico come quello di Hollande. Scriveva ieri Le Monde: «La sua legittimità formale è protetta dalla costituzione, ma la sua legittimità personale è a brandelli, quella politica in rovina e la fiducia del Paese vicina allo zero».
È qui che il «modello» francese, com’era abitualmente definito da giornali e politici italiani, entra in una crisi storica: un sistema fortissimo che si sta ora rivelando debolissimo laddove sembrava risiedere la sua forza e cioè nella stabilità assicurata dal presidente eletto dal popolo. Può bastare la vendetta di una donna tradita a mettere in crisi un’architettura istituzionale? È quello che sta accadendo, ora per ora, con una discesa agli inferi che nemmeno il politologo più catastrofista poteva immaginare.
Manuel Valls farà oggi un discorso «renziano». Lo ha annunciato ieri con uno dei suoi rari tweet: «La gauche européenne unie à Bologne: Matteo ci vediamo domani». La sinistra europea unita a Bologna: il primo ministro è costretto a lanciare la palla in alto e in lungo. Renzi è il suo alleato più naturale contro le rigidità tedesche. Ma Valls ha un altro imperativo: tentare di sganciare l’immagine sua e del governo da François Hollande. Operazione iniziata prima del caso Trierweiler. Il vero regista del blitz che dieci giorni fa ha cambiato il governo e messo fuori tre ministri di sinistra a cominciare da quello dell’economia sostituito con un ex banchiere, sarebbe il primo ministro più che il presidente. L’influente giornale online Mediapart ha parlato del «18 brumaio di Manuel Valls», accusandolo più o meno di colpo di Stato.
È la dura legge del «modello», tutto è già proiettato sulla sfida del 2017, il resto della politica ne discende e si conforma. Hollande difficilmente sarà ricandidato. Valls deve arrivare all’appuntamento con qualche successo politico, a cominciare dall’inversione della curva della disoccupazione. Un sondaggio dell’Express fatto in questi giorni dice che Marine Le Pen vincerebbe contro un socialista e contro tutti i leader della destra ad eccezione di Alain Juppé. La République in mano a una Presidente che appartiene al partito che non hai mai sottoscritto il patto repubblicano? Urge una sesta repubblica, o un Presidente davvero normale, prima che sia troppo tardi.
Cesare Martinetti