Cultura
Se l’Italia
non ha più
intellettuali
In questi anni si è celebrato uno strano funerale: dietro il carro del defunto nessun coro di lodi e di rimpianti, da parte degli amici, ma neanche irose condanne alla memoria, da parte dei nemici, solo il silenzio di chi si merita persino l’oblio di un nome ormai infamante, quello dell’intellettuale. Sì, in Italia, da qualche tempo, è sparito sulla scena pubblica un protagonista della storia politica e civile, una figura che, in vari modi e con diverso peso, aveva comunque esercitato, durante tutto il secolo scorso, un ruolo importante nell’influenzare il dibattito culturale nel nostro Paese.
Dove sono finiti gli eredi non solo di Croce e Gentile, ma di Pasolini e delle sue «lucciole», di Sciascia contro i «professionisti dell’antimafia», di Bobbio e delle sue polemiche con Togliatti? Dove si sono rifugiati gli epigoni del Gruppo ’63 in feroce battaglia contro Bassani e Cassola? Gli intellettuali che Arbasino mandava a Chiasso perché la cultura italiana si sprovincializzasse si sono persi forse tra i cantoni svizzeri? E dove sono gli echi delle furiose rivolte contro il Mussolini di De Felice e le imbarazzate perplessità davanti alla «guerra civile» sdoganata da Pavone? Chi ha visto gli intellettuali organici e quelli disorganici, gli «utili idioti» della colta sinistra e «le foglie di fico» dell’incolta destra? In quale casa editrice clandestina si stampano le riviste che hanno preso il posto del «Politecnico» di Vittorini, del «Mondo» di Pannunzio, del «Tempo presente» di Silone?
La data del decesso dell’intellettuale italiano non è stata ancora certificata da un preciso atto di morte, ma si presume sia avvenuta quando il talk show televisivo ha preso il posto del dibattito culturale sui giornali, bruciando in una incauta comparsata qualsiasi autorevolezza del malcapitato che si fosse esposto al ludibrio di una rissa accuratamente cercata in favore di audience. Quando la competenza su un argomento è stata sottoposta alle forche caudine di una dichiarazione condensata in venti secondi, di una battuta pseudobrillante, invece che distesa sulle solite fitte quattro pagine della vecchia «Rinascita».
L’accertamento più sicuro della definitiva scomparsa di qualsiasi influenza dell’intellettuale nella vita pubblica italiana, per la verità, è stato compiuto dalla politica, con il tipico cinismo di chi è costretto rapidamente a prendere atto della realtà. Finita l’egemonia culturale della sinistra, i partiti di quello schieramento hanno smesso di correre dietro a inutili «compagni di strada», per di più dispersi per strada, e quelli di destra hanno scambiato il vecchio complesso d’inferiorità sull’argomento con l’esibizione di un orgoglioso disprezzo per la «cultura con cui non si mangia». Così «il partito degli intellettuali» che vagava in Transatlantico con lo snobismo di chi doveva rivestire di una certa dignità le bassure della polemica quotidiana, si è ridotto a qualche sparuta presenza che cerca di dissimulare quella qualifica, diventata obbrobiosa, ostentando un linguaggio triviale e modi altrettanto volgari.
Alla morte del tipico intellettuale italiano, dedito agli studi umanistici, è subentrato forse lo studioso di scienza, un avvicendamento che molti si auguravano che avvenisse nella cultura del nostro Paese? Non pare. La scarsa influenza nella politica e nella società di chi si occupa in Italia di medicina, di biologia, di matematica, di fisica è testimoniata da un recente caso di cronaca, quello della vicenda «stamina»: nemmeno l’unanime rivolta di tutta la ricerca scientifica, capitanata dalla senatrice a vita Elena Cattaneo, contro questa ingannevole ricetta per una malattia gravissima ha costretto il ministero della Salute al divieto di utilizzarla e ha convinto alcuni magistrati a non autorizzarne la sperimentazione.
Pochi, certamente, hanno nostalgia di quell’intellettuale impegnato che spesso si impegnava per cause sbagliate e finiva nella macchietta del firmaiolo compulsivo degli appelli più improbabili. Di Zola non ce ne sono stati molti in Italia, purtroppo. Ma che l’unico dibattito culturale che ci appassioni sia quello, peraltro benemerito, sulla virtù dell’aceto di vino forse è un peccato.
Luigi La Spina