Cultura
Kiefer, scorre ad Alba
l’infinito Reno romantico
Invitato dalla famiglia Ceretto, il pittore tedesco ha inaugurato
alla chiesa della Maddalena una personale aperta fino al 9 novembre
Invitato dalla famiglia Ceretto, il pittore tedesco ha inaugurato
alla chiesa della Maddalena una personale aperta fino al 9 novembre
Navigheranno sino 9 novembre, nel coro conventuale della Chiesa della Maddalena di Alba, come onde pietrificate nei nodi tempestosi del legno battuto. Così Anselm Kiefer spiega il suo atavico rapporto con il Reno, fiume lento, maestoso, garrulo e lutulento, schubertiano. Musicale come un sordo carillon della Natura romantica: «Sono cresciuto sulle rive del Reno. La Francia stava dall’altra parte. Da bambino vedevo il fiume come un ostacolo insormontabile, qualcosa che non si poteva di certo attraversare a nuoto». Come uno sbarramento dello sguardo, uno di quei tralicci ottici, che rendono così immaginifica, trafficata ed inconfondibile la sua magmatica, terrosa pittura: di resti, di tracce, di sofferenze arate, sepolte e continuamente dissotterrate.
A dimostrazione del proprio attaccamento mecenate all’arte contemporanea, dopo la mostra dedicata ad Elleswort Kelly, la famiglia Ceretto ha scelto giustamente un solo titolo, corale e seriale, quasi si trattasse, appunto, d’un mormorante riverbero di plumbee e luminose onde lignee. Che si agitano e muovono, otticamente, entro lo spazio barocco e già compresso, elastico, della chiesetta monacale, sopra l’ondulato disegno del grande Vittone. Non già appesi alle iperdecorate pareti a trompe l’oeil, ovviamente, ma stampellati entro il grumo ravvivato del piccolo vuoto centrale, che ti costringe ad un ammirato periplo, che ogni volta ritorna sui propri passi fluviali. Non potendo passare «di là». Proprietà dello studio parigino di Kiefer, in pannelli mobili e seriali, ogni volta almanaccabili a volontà, come scegliendo in un mazzo cementato di tarocchi ermetici, come se le ninfee di Monet si fossero rapprese in una rigida e gotica melma gessosa, riscritta da Heckel o da Munch (il Munch che sottometteva alle intemperie e sue opere, perché la Natura facesse il suo corso) la serie del «Reno» ha un’importanza-chiave nel percorso di Kiefer. E del suo recupero della poetica romantica, della fluvialità limacciosa e stratificata di storie, che trascina con sé memorie storiche, eventi mitologici, leggende nordiche.
Come spiega ancora: «Il Reno ha così acquisito uno status mitologico, per me. Quando arrivi a questo sbarramento puoi girare a sinistra o a destra, ma non andare dritto, tranne che nell’immaginazione». Saltare, ovviamente, funeralmente come i suoi Icari precipitati, nella trappola alchemica e melanconicamente fusa, entro il nero-piombo sporco dell’esistenza colpevole. Oppure prendere il volo zoppo dei suoi ferrosi ed abbattuti aeroplani nazistificati, dalle ali dannate, che si librano a stento dalle sue tele, come infelici zavorre: destinate a subito precipitare, angeli meccanici decaduti. Ed è l’idea proprio d’uno sbarramento esistenzialistico a venirci incontro, con questo sentore, quasi odoroso di segatura e sudore, di xilografia antica e di infaticabile sgorbia. Perché di tele si tratta, come d’affreschi staccati dal legno e trasposti su mitici trampoli di juta trattata a grattage. Con aggiunta scultorea di bende ingessate, alla Burri o alla Twombly (mai proporre questi raffronti all’autore!) cataste di legni incisi e rilavorati, bretelle di carte e stoffe, che duplicano l’impressione d’arbusti autunnali e di nebbiose betulle annerite di graffite, che rendono difficoltoso il cammino fluviale del Reno, evocato e dipinto..
Kiefer non può dimenticare che nel Reno tentò d’ ammazzarsi, folle di passione ormai esplosa, anche il romanticissimo Schumann: nel fiume leggendario, ove ancora s’aggiravano le Undine di Hoffmann-de la Motte Fouqué e si apprestavano ad emergere le fanciulle-fiore di Wagner e delRheingold. Ma in questo, il pittore è stato molto chiaro (ricordo la sua veemenza, in un incontro al San Carlo di Napoli, durante la sua bellissimaElettra di Strauss-Hofmannstahl, «donna senza presente, fatta di passato e futuro»): «No, non farò mai una scenografia per Wagner, perché la mitologia nibelungica dell’oro del Reno è nata molto prima di lui, ed a questa, che io mi rifaccio». Oppure alla tradizione Romantick della rivista Atheneum dei Novalis e di Schlegel, amante (con Talleyrand e Benjamin Constant) di quella Madame de Stael («tre sono gli Imperi: l’Inghilterra, la Russia e lei», l’affascinante, tracagnotta figlia del banchiere Necker di Luigi XVI) lei, il cui nome graffito ricorre più volte su queste tele. Perché oltreCorinna, ou de l’Italie, che giunse sino al Viaggio a Reims di Rossini, compose soprattutto quell’epocale De l’Alemagne, così inviso a Napoleone e caro a Leopardi, in cui stabilì la primazia guerresca di quel pensiero e di quella sensibilità nordica e neo-gotica, di cui è impregnata ancora la pittura «malata» di Kiefer. Ancora stregato da quel prisma-monolite indecifrabile del cubo ermetico, che proviene dall’incisione dureriana della Melancholiae che ancora solca, rotando, infelice, questi cieli burrascosi, dove si mescolano la Linea Maginot, la Capanna indiana e la Torre infinita di Mendelshon.
Marco Vallora