Cultura
L’obbligo
di ripartire
da zero
Ci vorrà del tempo, temo molto tempo, per smaltire il dolore e la delusione dell’epilogo dell’avventura Mondiale. Siamo stati esclusi da una squadra di nordici tanto impetuosi quanto scadenti. Ma è l’intero complesso del calcio italiano che va ripensato.
Abbiamo toccato il fondo, possiamo e dobbiamo ripartire. Ma senza sfuggire alle responsabilità, individuali e collettive, alle colpe di ciascuno e a quelle del Sistema Calcio, ponendo la dignità dei comportamenti e delle decisioni prima di ogni altra convenienza personale. Non si tratta di un processo alla ricerca di colpevoli da punire sulla pubblica piazza.
Nelle severità dei giudizi dovrà trovare posto la generosità di chi sa guardare lontano e considera la Nazionale un valore sacro e condiviso, e non un «pezzo» di potere da far valere per proprio tornaconto. Lascio ad altri l’analisi tecnica delle partite e del valore in campo dei singoli giocatori o della competenza del ct, delle sue scelte, della sua strategia perdente.
Voglio essere chiaro: Ventura deve ammettere senza false umiltà, ma anche senza punte di arroganza, di aver fallito il mandato di portare la Nazionale a Mosca. Se ne deve andare per dignità, unica faccia spendibile della stessa medaglia, senza invocare scusanti o compromessi.
Le dimissioni sono per lui l’unica via d’uscita. Prima verranno e meglio sarà. Ma non dovrebbero essere le sole.
Il signor Carlo Tavecchio ha guidato la Federazione Italiana Gioco Calcio senza stile, senza rigore, tempestando il suo accidentato cammino di gaffe e senza saper offrire una prospettiva strategica al mondo che era stato chiamato a guidare.
Giancarlo Abete nel 2014 non esitò un attimo a lasciare la presidenza dopo l’eliminazione al primo turno al Mondiale del Brasile: un gesto semplice, secco, carico di dignità, seppure dopo aver raggiunto il traguardo di portare la squadra oltre la qualificazione.
Insomma, la dirigenza attuale, deve cedere il posto: è inadeguata, sarebbe folle e diabolico perseverare. Troviamo responsabilità anche nell’entourage presidenziale. Faccio l’esempio di Renzo Ulivieri, vice presidente. Una strana coerenza: considerato un filosofo dello sport e forse per questo disposto a cambiare idea senza pagare dazio.
Su Tavecchio dichiarò: «È inadeguato, con lui si va nel baratro, e peggio è chi lo sostiene, a partire da Claudio Lotito». E poi? Poi si pronunciò a favore dell’elezione di Tavecchio alla Figc. Profeta in patria (complimenti) Ulivieri è metafora vivente della coerenza che si spezza di fronte alla convenienza.
Usciamo da San Siro con un calcio nazionale distrutto dalle fondamenta ed è proprio dalle fondamenta che bisogna rapidamente ricostruire.
Al prossimo appuntamento, gli Europei 2020, cioè fra poco, dobbiamo guardare con paziente determinazione.
Il quadro d’insieme è desolante. Serve cambiare le regole del calcio italiano in cui deve governare, al contrario di oggi, una Federazione sovrana. Che possa e sappia decidere. Occorre una diversa, più intensa selezione dei giovani talenti, con la possibilità di imporre ai club di «prestare» in qualsiasi momento i propri giocatori alla maglia azzurra. Mettere le mani sul settore tecnico-organizzativo migliorando i Centri Federali: in Germania sono 366 distribuiti sul territorio con un investimento di 300 milioni di euro: a suo tempo dopo la disfatta hanno fornito il materiale umano per la ricostruzione della squadra. I nostri Centri zoppicano tra inadeguatezze e incompetenze. Nel nostro calcio, poi, girano troppi soldi a vanvera, troppo lusso esibito, troppo shopping d’alto bordo: cattivi esempi per uno sport che deve ora anche fronteggiare rigurgiti di violenza e di fanatismo che sfocia in atti razzisti e di tifoseria politica.
Ci vuole più etica. Il Coni giuridicamente ha le mani legate ma può fare molto per il grande riscatto del Calcio Italiano: Giovanni Malagò, con lo spirito e l’azione con il quale guida il Coni, dovrà saper trovare soluzioni, tracciare indirizzi, disegnare prospettive di rinascita. È capace di farlo. In fretta ma senza fretta: il calcio italiano, che siamo tutti noi, non può attendere. Mai più l’Italia fuori dal Mondiale mai le lacrime del nostro Capitano. Mai più!
Marco Tardelli