ebook di Fulvio Romano

sabato 12 settembre 2015

La super tempesta di sabbia causata dalla guerra in Siria

LA STAMPA

Esteri


“Senza contadini è un deserto” 

Coltre anomala dal Libano all’Iraq, scali chiusi e decine di vittime 

I meteorologi: i campi abbandonati si stanno trasformando in dune

Stagione insolita, densità eccessiva e durata record distinguono la tempesta di sabbia che copre da cinque giorni gran parte del Medio Oriente e potrebbe essere una conseguenza climatica del conflitto in corso da oltre quattro anni in Siria. A sostenere questa tesi è Dan Rabinowitz, antropologo dell’Università di Tel Aviv conosciuto per gli studi in cui sovrappone l’analisi del clima ai comportamenti delle popolazioni. «Ci troviamo di fronte a una tempesta di sabbia che esce da ogni schema e smentisce ogni precedente e previsione - esordisce - perché in genere si verificano in inverno o in primavera e l’origine è in Egitto o nel deserto del Sahara».

Bomba climatica

In questa occasione invece le rivelazioni dei satelliti meteo suggeriscono che la sabbia giallo-kaki arriva dalle regioni nordorientali della Siria ovvero lo spazio che si estende da Daraa fino ai confini con l’Iraq. «Siamo probabilmente di fronte ad una conseguenza del conflitto in Siria - osserva Rabinowitz - perché si tratta di regioni dove l’economia si basa da sempre sull’agricoltura dei villaggi ma i contadini se ne sono andati, in molti casi oramai da anni, i campi non sono più coltivati e dunque la sabbia che si deposita sul terreno non viene più trattenuta da radici, foglie e fusti delle piante». È questo «manto di sabbia soffice depositato sui campi agricoli non più lavorati» a costituire per l’antropologo una «bomba climatica a orologeria» perché «appena i venti soffiano forti» sono in grado di «innescare tempeste di sabbia con caratteristiche senza precedenti». 

In altre parole, riassume l’antropologo studioso di clima, ci troviamo davanti alla conseguenza della «desertificazione della Siria a seguito del conflitto armato» che ha spinto centinaia di migliaia di contadini ad abbandonare i villaggi, privando la sabbia di ogni ostacolo naturale. Si tratta di tesi che Rabinowitz ha espresso in alcune interviste sui media israeliani, innescando un dibattito che vede protagonisti esperti di clima e di strategia. «Chi ha servito in ambasciate e consolati nei Paesi della regione - afferma un diplomatico già assegnato all’ambasciata al Cairo - conosce le tempeste di sabbia e questa è davvero insolita perché densa, contiene una quantità anomala di sabbia e arriva dalla Siria, cosa mai avvenuta».

Questo è il motivo per cui in Siria e Libano vi sono state almeno 12 vittime, a causa di problemi cardiaci e respiratori, accompagnate da problemi di visibilità che hanno fatto annullare numerosi voli all’aeroporto Hariri di Beirut spingendo, in Israele, a chiudere lo scalo di Eilat e sospendere la maggioranza dei voli interni dagli altri aeroporti.

L’assenza di visibilità, ancora più marcata in Siria, ha obbligato il regime di Bashar al Assad a sospendere i voli di aerei e, soprattutto, elicotteri producendo un immediato risultato tattico: il successo dei ribelli islamici di Al Nusra, emanazione di Al Qaeda, nell’assalto alla base aerea di Abu Al Duhur, ponendo fine ad un assedio durato due anni. Se la tesi di Rabinowitz riceve attenzione è perché fra gli analisti di meteo prevale la convinzione che si tratti di un evento senza precedenti.

«Punizione divina»

Marc Wehaibe, esperto di meteo all’aeroporto di Beirut, definisce «insolita» la tempesta di sabbia «perché avvengono in primavera e non durano tanto a lungo» mentre Levana Cordova-Bijoner, del centro meteo del ministero dell’Ambiente israeliano, parla di «eccesso di concentrazione di particelle nell’aria causando un pericolo per la salute pubblica che forse terminerà questo fine-settimana». Jonathan Feldestein, direttore dell’ente israeliano «Heart to Heart» che sovrintende ai servizi di emergenza, evoca la Bibbia: «Ci troviamo davanti a un atto di Dio, un evento che avviene solo una volta nell’arco di tempo di una generazione».

maurizio molinari