ebook di Fulvio Romano

sabato 4 novembre 2017

L’isola specchio d’Italia (Sorgi)

LA STAMPA

Cultura

L’isola

specchio

d’Italia

Sulle elezioni siciliane di domani si sta concentrando un’attenzione mai vista prima. Se ne occupano, non solo i media nazionali, ma anche giornali, siti e tv straniere, a dimostrazione che l’appuntamento del 5 novembre è considerato decisivo, non solo dai leader che battono le piazze delle maggiori città, e non soltanto per i destini dell’isola, ma dell’Italia e perfino dell’Europa. L’ipotesi, non del tutto fuori dalla realtà, che i 5 Stelle possano conquistare la Regione - ipotecando un’eventuale vittoria anche nel prossimo voto delle politiche e rompendo la rete di sicurezza che ha fin qui impedito ai principali Paesi europei di finire nelle mani dei populisti -, sta creando un’ansia simile a quella vissuta quest’anno alla vigilia delle consultazioni in Francia, Olanda, Germania e Austria, per non dire del pasticcio della Catalogna.

Naturalmente non è affatto detto che succeda per davvero, e conviene prendere con le pinze i sondaggi che vedono testa a testa il candidato del centrodestra Musumeci, favorito fino a un mese fa con oltre 10 punti di vantaggio e ora in affanno, e quello M5S Cancelleri, che negli ultimi giorni lo ha agganciato. 

Che una sorta di Vespri siciliani si sentano ribollire nella pancia dei cittadini vessati da cinque anni di pessima amministrazione Crocetta, il presidente trionfatore della volta precedente, rivelatosi completamente inadeguato ad affrontare i gravi problemi dell’isola, è sicuro; così com’è certo che Crocetta abbia trascinato con sé nel disastro il centrosinistra che lo aveva sostenuto nel 2012 e ha cercato rimedio invano nella scelta di un successore «civico», cioè non politico di professione, ma quasi completamente sconosciuto: il rettore dell’Università di Palermo Micari, oggi a rischio di piazzarsi quarto, nella gara, alle spalle perfino dell’avversario della sinistra radicale Fava.

Vincere o perdere in Sicilia vuol dire da molti anni ipotecare metà del risultato delle elezioni politiche. Il Nord Italia essendo da tempo abbonato alla destra, e il Centro, anche se progressivamente meno, alla sinistra, è nel Lazio e nell’isola che si giocano gli equilibri nevralgici, e nell’ultimo quarto di secolo è andata così: chi ha vinto nelle due popolose regioni, quasi sempre ha conquistato l’Italia. Anche se colpisce, va detto, che alla fine di una legislatura dominata dal centrosinistra, dopo tre governi guidati da esponenti del Pd, uno dei quali, il più durevole, dal segretario (aiutati da tutta o in parte la coalizione ex berlusconiana), e con quindici amministrazioni regionali su venti in mano allo stesso partito, in Sicilia Renzi e i suoi alleati siano considerati fuori gioco, e debbano rassegnarsi all’opposizione, o sperare di poter collaborare in un ruolo subalterno con il vincitore di domenica: Musumeci o Cancelleri.

Se a vincere sarà il secondo, in poche settimane un secondo capovolgimento, dopo quello catalano, sarà avvenuto in Sicilia, con Palermo nei panni di Barcellona, un futuro che nessuno immagina e ha progettato, e Roma, come Madrid, al bivio tra la mano forte e un dialogo improbabile, per non dire irrealizzabile, con i «conquistadores» a 5 stelle. Se invece a prevalere sarà il primo, il «fascista per bene» - assai ammorbidito, in verità, nelle idee, e sostenuto da liste locali, che i sondaggi non misurano, irrobustite da conversioni e tradimenti dell’ultimo minuto e dalle immutabili amicizie siciliane -, il ritorno del centrodestra alla guida della Regione si potrà leggere in due modi: che in conclusione è a questo schieramento, pur con i suoi limiti e usure evidenti, che gli elettori preferiscono affidarsi, quando avvertono che la posta si fa seria. La bandiera dell’antipopulismo alzata da Berlusconi, tra ironie e sberleffi anche dei suoi alleati Salvini e Meloni, sarebbe risultata così più credibile di quella di Renzi, che pure si accinge a sostenere in tv la sfida con il candidato premier M5S Di Maio. Oppure, e sarebbe la seconda spiegazione, che alla fine di questi venticinque in cui le hanno provate tutte per cambiare, la Sicilia, e appresso a lei l’Italia, si accingono a tornare democristiane: la rivoluzione sarà per un’altra volta.

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Marcello Sorgi


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