Esteri
Il Russiagate si avvicina a Donald
Interrogato un suo alto consigliere
Il cerchio si stringe attorno alla Casa Bianca e al clan Trump nell’ambito del Russiagate. Mentre il presidente è impegnato in Asia alla ricerca di una legittimazione sul piano internazionale e di interlocutori affidabili per risolvere complesse dispute transpacifiche, il suo ritorno a casa si profila complicato. Dopo i primi capi di imputazione «illustri» spiccati dal procuratore speciale Robert Mueller, le indagini sulle presunte interferenze di Mosca nelle elezioni del 2016 compiono un nuovo salto di qualità. E per la prima volta irrompono nella cerchia più ristretta di Donald Trump, procedendo in due direzioni. Mueller ha infatti interrogato Stephen Miller, consigliere politico del presidente e figura di primissimo piano alla Casa Bianca. Dalle cui dichiarazioni potrebbero emergere elementi utili specie per il suo ruolo nel licenziamento del direttore dell’Fbi James Comey.
L’obiettivo degli inquirenti è capire se dietro alla gestione del caso Comey ci sia stato un tentativo da parte della Casa Bianca di ostacolare le indagini sul Russiagate. Nel mirino di Mueller ci sarebbe inoltre un incontro del marzo 2016, in piena campagna elettorale, dove il consigliere di politica estera del tycoon, George Papadopoulos si propose per organizzare un colloquio tra Trump e Putin. A quell’incontro era presente anche Miller. L’altra pista battuta dalla procura speciale passa per il generale Michael Flynn, sostenitore della prima ora dell’ex Tycoon, tra i primi a «cadere» nell’ambito del Russiagate. Mueller vorrebbe mettere sotto torchio il figlio del generale, Michael Jr, per far luce su un presunto complotto che lui e il padre avrebbero ordito per rimuovere a forza dagli Usa Fethullah Gulen, l’ex imam che secondo Ankara sarebbe il cervello del fallito colpo di Stato in Turchia del 2016. I due Flynn - secondo quanto riportato dal «Wall Street Journal» - sarebbero stati pagati 15 milioni di dollari per consegnare Gulen, che dal 1999 vive in esilio a Sailorsburgh, in Pennsylvania, alle autorità turche. Il presidente Erdogan considera Gulen un nemico e più volte ha chiesto agli Usa la sua estradizione, come punto di partenza per rilanciare i rapporti tra Usa e Turchia logorati dalle divergenze politiche a partire dal conflitto siriano.
Il piano tuttavia aveva le caratteristiche di una «rendition» più che di una estradizione - a sentire il Wsj - visto che nell’incontro di dicembre al «Club 21» di Manhattan, Flynn ed emissari di Ankara avrebbero discusso l’ipotesi di trasportare Gulen su un jet privato nell’isola-prigione turca di Imrali. L’Fbi avrebbe interrogato almeno quattro persone a conoscenza dell’incontro. Flynn padre all’epoca era stato nominato da Trump consigliere per la Sicurezza nazionale, carica che durò poche settimane visto il suo presunto ruolo nei rapporti «non dichiarati» con Mosca, per i quali, a detta di molti, potrebbe essere il prossimo destinatario di capi di accusa dopo Paul Manafort, Rick Gates e George Papadopoulos.
Francesco semprini