ebook di Fulvio Romano

martedì 1 settembre 2015

Grillo archivia il mito web dei “cittadini”

LA STAMPA

Cultura


«Nel 2013 non eravamo pronti, abbiamo imbarcato chiunque». Presentandosi a Brescia per festeggiare i dieci anni del meetup, Beppe Grillo è salito sul palco portandosi sulle labbra un sorriso remoto e si è rivolto alla platea con tre frasi destinate a seppellire per sempre l’armatura esterna di un Movimento apparentemente fondato sul rivoluzionario mito internettiano della democrazia diretta, per trasformarlo in qualcosa di radicalmente diverso.

Qualcosa di più ovvio e meno futuristico, ma certamente più funzionale al progetto di chi pretende di guidare un Paese: vale a dire un partito. 

Non ancora il modello classico, ma qualcosa che ha l’evidente obiettivo di trasformare slogan suggestivi e un po’ sgangherati come «uno vale uno» in concreta e forse meno nobile sostanza politica, da consegnare nelle mani e nella testa di una classe dirigente finalmente selezionata in base a criteri di merito e non di click indistinti. 

Un salto di qualità, in fondo, che tradisce ancora una volta le origini, ma che sembra confermare l’idea, non insensata, del tandem Grillo-Casaleggio di avere consolidato il consenso elettorale indipendentemente dal fortunato mantra che consegnava al Movimento due caratteristiche su tutte: l’orizzontalità e l’onestà. Se alla seconda evidentemente non si può rinunciare, alla prima sì. 

Torniamo a Brescia. E alle tre frasi. La prima è quella già citata . «Nel 2013 non eravamo pronti, abbiamo imbarcato chiunque». Ci ha messo due anni per dirlo. E non era facile, perché quando ci si sente in colpa è anche più difficile chiedere aiuto, figurarsi chiedere scusa. D’altra parte la certificazione di un cambiamento di linea, a pochi mesi dalle elezioni in città come Milano, Napoli e Torino, e forse anche Roma, era inevitabile. Nel 2013 lo slogan «uno vale uno» non era una necessità. Era qualcosa di più. Era un valore. Nei comizi pre-elettorali Grillo andava ripetendo che anche una casalinga di Voghera avrebbe potuto fare il ministro del Tesoro. Perché? «Perché la casalinga di Voghera non ruba e bada alla famiglia». Ovazioni. Applausi. Voti. Una valanga. A quel punto è arrivata l’esperienza nei palazzi. 

Il rapporto di Grillo con l’esercito dei suoi parlamentari è stato subito controverso. Da principio li osservava con cordialità e curiosità, come si fa con i bambini. Poi, nel giro di poche settimane - segnate da pregnanti dibattiti su microchip impiantati proditoriamente sotto la pelle di ignari cittadini-cavia e meravigliose riflessioni sulle sirene nascoste negli abissi marini - era passato a guardarli come se avesse davanti una sedia vuota o un mozzicone di sigaretta. Li considerava fondamentalmente inutili, capaci soltanto di dichiarazioni destinate a suonare false dalla prima all’ultima parola ma di cui era impossibile mettere in dubbio la sincerità Un battaglione di Forrest Gump. Con qualche considerevole eccezione, Di Maio, Fico, Morra, Ruocco, Di Battista. Pochi altri. Perché mettere tutti sullo stesso piano, allora? Perché lo dice l’infallibile religione del web. Peccato che tra una defezione e l’altra, tra uno scontrino scomparso e una lite su Facebook, Grillo e Casaleggio si siano accorti che invece di produrre cambiamento, lo stavano subendo. 

Perciò è nato il direttorio, qualcosa che assomiglia molto a una qualunque segreteria del Pd. O di Ncd. Col direttorio, sostenuto da costanti apparizioni televisive (poco importa se in campagna elettorale anche la tv fosse considerata uno strumento demoniaco della casta), i dibattiti surreali sono stati sostituiti da confronti seri. Alleanze no, ma discussioni sì. I consensi, in rovinosa caduta, hanno ricominciato a crescere. Meglio un Di Maio di cento Forrest Gump. Impossibile non prenderne atto. 

La seconda frase. «Finora siamo andati a braccio, non c’era una organizzazione, ma adesso ci sarà». È il prezioso corollario della prima. Il Movimento deve avere una struttura in grado di misurare i propri componenti. I meetup come sedi di partito. Affidati alla supervisione di Roberto Fico e Alessandro Di Battista. Chi sei? In che cosa credi? Che esperienza hai? Il tentativo cioè di creare coerenza politica rispetto a un programma condiviso. Perché, va da sé, questo programma, a differenza di quanto accade ora, dovrà esistere al di là di dieci, quindici punti di vaghi principi. 

Infine la terza frase, che spiega le prime due. «Non sono mai stato così sicuro che se andiamo alle elezioni le vinciamo». Le elezioni. I sondaggi positivi. La scoperta che al Paese della democrazia internettiana importa poco, ma dell’ennesimo cambio della classe politica forse di più. Per questo i cambiamenti di rotta radicali annunciati da un uomo molto abile a dire il vero senza dire tutta la verità. Quella sta venendo fuori da sola. E un po’ deve fargli male. Per creare classe dirigente la devi selezionare. Perché per portare qualcuno in parlamento magari non è necessario stimarlo fino in fondo, ma per lo meno conoscerlo sì.

Andrea Malaguti


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