Cultura
LA PAURA
del contagio
europeo
Francesco Guerrera
Francesco Guerrera
I mercati stanno facendo cose turche. Anzi, cose anti-turche.
Nell’arco di 24 ore, la Turchia è passata da alleato scomodo dell’Occidente con un serio deficit di democrazia e diritti umani a nemico numero uno degli investitori. Un malato cronico che rischia di contagiare il resto dell’Europa e, forse, l’Italia.
Partiamo dall’epicentro di questo terremoto finanziario. La lira - nome chiaramente sciagurato per una moneta - ha perso più del 18% nei confronti del dollaro ieri, una crollo clamoroso che ha pochi paralleli nella storia.
Come spesso accade nelle crisi monetarie, non c’è stato un unico casus belli ma un agglomerato di motivi: le tensioni tra la Nato e il governo-Erdogan, la posizione precaria dei bilanci turchi, l’enorme debito denominato in valuta straniera, e persino l’arresto di un pastore americano che ha infuriato gli Usa.
Per mesi (e anni nel caso del pastore), gli investitori hanno ignorato questi problemi, sedotti dagli alti tassi d’interesse offerti da lira e obbligazioni turche.
Gli «smart money» - i «soldi intelligenti» degli hedge fund ritenuti più svegli - amavano molto la Turchia. L’idea era semplice: se Mario Draghi e la Banca Centrale Europea tengono i tassi bassi per stimolare la zona-euro, ci si può far prestare soldi in Europa e investirli in Turchia (e altri Paesi in via di sviluppo) dove i rendimenti sono molto più alti.
Un gioco da ragazzi, no? Fino a quando la musica non si ferma e non ci sono abbastanza sedie. Ieri la musica si è interrotta all’improvviso, scatenando paure su possibili contagi.
Quello più ovvio è attraverso le banche con attività in Turchia. A lanciare l’allarme è stata la Bce che, a detta del Financial Times, sta tenendo d’occhio Unicredit, la banca francese Bnp Paribas e la spagnola Bbva perché hanno una presenza importante in Turchia. Il rischio è un’impennata nelle sofferenze se società ed individui non ce la fanno a pagare gli interessi sui propri prestiti.
Per il momento, gli esperti di Draghi si dicono abbastanza tranquilli, ma la crisi del 2008 insegna che le sofferenze possono aumentare velocemente senza essere rilevate dalle autorità di settore.
Il pericolo forse più grande è nella psicologia dei mercati. Se gli investitori sono paralizzati da una paura inconsulta e si rifiutano di prendere rischi, Paesi come l’Italia, che offrono meno garanzie di piazze quali la Germania o gli Usa, potrebbero essere risucchiati nel vortice del panico. Non è un caso che ieri lo spread italiano sia salito ai livelli più alti degli ultimi due mesi.
Per la Turchia, la situazione è molto più drammatica. L’afflusso di denaro straniero aveva invogliato governo, società e banche turche ad ingozzarsi di valuta pregiata, creando debiti enormi. La Turchia ha bisogno di circa 218 miliardi di dollari all’anno per pagare gli interessi ai creditori stranieri, una cifra enorme che sarà difficile trovare dopo la fuga dei capitali di ieri. Tra i banchieri di Londra c’è già chi sussurra di interventi di emergenza del Fondo Monetario Internazionale, come già successo in passato.
Ma il caos turco non è limitato ai mercati. Il crash di ieri ha esacerbato latenti tensioni geopolitiche. Basta guardare al tweet di Donald Trump di ieri pomeriggio che minacciava sanzioni sulle importazioni d’acciaio turche. Una mossa aggressiva, annunciata poche ore dopo la notizia di una telefonata tra Erdogan e Putin. Non è la prima volta nella storia che la Turchia diventa campo di battaglia importante per le super-potenze del pianeta. La crisi finanziaria potrebbe essere il primo atto di un dramma più lungo.
Francesco Guerrera è direttore di Dow Jones
Francesco.guerrera@dowjones.com.
Twitter: @guerreraf72.