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sabato 18 agosto 2018

Sorgi: ora evitiamo di andare all’indietro

LA STAMPA

Cultura

ora evitiamo di andare all’indietro

Marcello Sorgi

Serietà vorrebbe che, giunti al quarto giorno di polemiche pretestuose sulla tragedia di Genova, e di fronte al più che motivato rifiuto della maggior parte dei familiari delle vittime di partecipare ai funerali di Stato, attorno alle macerie del ponte Morandi si tentasse una sorta di operazione verità. Per dire ciò che chiunque abbia percorso, il lungo e in largo, in su e giù il nostro Belpaese ha visto con i suoi occhi. 

La rete autostradale italiane è tutta un colabrodo, uno slalom obbligato tra corsie alternate e tunnel bui o scarsamente illuminati, con molti dei suoi tratti che risalgono a metà del secolo scorso, dimensioni inadeguate, corsie di emergenza strette o inesistenti, valichi pericolosi, colonnine telefoniche di soccorso rotte o mal funzionanti: chilometri e chilometri di deserto in cui avere un piccolo guasto, cosa che può sempre capitare, significa temere di perdere la vita, mettersi a repentaglio di finire schiacciati, o affidarsi alla carità di qualcuno che abbia cuore di, evento sempre più raro nell’Italia avvelenata di oggi.

Non è solo il viadotto che ti cade sulla testa o ti manca sotto i piedi o le ruote: è l’immancabile coda del fine settimana che ti lascia assetato o affamato per ore sull’asfalto o all’addiaccio sulle vie della neve nelle settimane bianche invernali. Spesso, troppo spesso, viaggiare in automobile rappresenta un’avventura, un rischio che non vale la pena di correre, e quando ancora vediamo i nostri figli farlo, incrociamo le dita, preparandoci a notti insonni.

L’avvento delle autostrade, costruite a tempi di record a cominciare da quella del Sole, tra i Sessanta e i Settanta, fu un salutare passo avanti nella modernità di un Paese arcaico e collegato ancora dalle antiche vie consolari romane o da viottoli e tortuosità che ripercorrevano antichi tratturi destinati a carri a trazione animale. Andare in macchina da Milano o Torino a Genova, ma anche da Roma a Napoli, voleva dire affrontare un’incognita rispetto alla quale le lentissime (fino a prima della recente Alta velocità) Ferrovie italiane non costituivano un’alternativa. La novità, la scoperta, la comodità, di poter attraversare lo Stivale da Nord a Sud, programmando un percorso di un paio di giorni senza soste, fu una delle realizzazioni più importanti, un regalo, che i governi degli anni del boom diedero a un popolo di immigrati meridionali, che ad agosto tornavano a casa portandosi sul tetto della Seicento mezza casa e la famiglia boccheggiante stipata nell’abitacolo.

Aver lasciato andare in malora questo fondamentale strumento di progresso, averlo visto inerti deteriorare, ricoprirsi di toppe malmesse, interruzioni, incerti cartelli d’allarme sbiaditi, è stata una responsabilità gravissima. Che per correttezza, sempre in omaggio alle verità scomode che non si vogliono mai dire, non si può caricare esclusivamente e nemmeno in buona parte su un governo nato da neanche cento giorni. Sono tutti colpevoli: dagli ultimi, paralizzati, esecutivi della Prima Repubblica, a quelli della Seconda, Berlusconi, e prima di lui Ciampi, che avviarono le privatizzazioni (sacrosante!) delle grandi imprese di Stato, compresa la Società Autostrade, Prodi che la implementò in condizioni di bilancio pubblico da bancarotta, affidando in blocco o quasi la rete autostradale all’Atlantia dei Benetton, e poi Dini, D’Alema, Amato, fino a Monti, Letta, Renzi e ai giorni nostri, passando per l’eredità trentennale della Salerno-Reggio Calabria e per i numerosi ministri dei Lavori pubblici che avrebbero dovuto vigilare e non lo fecero o non lo fecero abbastanza, come oggi sostiene Di Pietro, anche per discolparsi. Infine, chi sia interessato a capire quale sia la considerazione che i 5 stelle hanno delle strade, si faccia un giro per la Roma della Raggi.

Un governo serio, sempre in omaggio alla verità, dovrebbe dire chiaramente alcune cose evidenti: la Liguria è in condizioni di emergenza da almeno due decenni senza che nessuno, sindaci che a Genova hanno perso il posto per acquazzoni divenuti alluvioni, amministrazioni regionali di diverso segno ma egualmente senza soldi, ministri locali incapaci, siano riusciti a invertire la tendenza. Lo ha detto Giulio Anselmi, genovese e già direttore di questo giornale, che uno dei poli di quello che si chiamava il Triangolo industriale è ridotto peggio delle aree più desolate del Mezzogiorno, che pure lo sviluppo industriale non hanno mai conosciuto. Scaricare tutto sui Benetton, che dovranno comunque rispondere in un normale processo, si può, ma seguendo le regole dei contratti (parola magica dell’attuale esecutivo), preparandosi a pagarne i costi e rispondendo a qualche domanda: fatti fuori i Benetton, chi si prenderà cura delle macerie del ponte Morandi, più probabilmente da demolire per intero, che da aggiustare? E del resto della rete autostradale? Chi e quando ridarà la casa ai senza tetto, uguali né più né meno ai terremotati di Amatrice? Chi bandirà gli appalti e con quali fondi? Dello Stato, che non ne ha? Dell’Europa, insultata tutti i giorni? Del governo giallo-verde per metà ostile alle opere pubbliche e per l’altra metà convinto che gli appalti siano sinonimo di corruzione? Delle banche mezze sbancate e perennemente sotto accusa? Dei privati in fuga o in procinto di fuga dall’Italia in cui se vinci una gara non hai mai vinto del tutto? E nel frattempo, che si fa? Si mette un bel cartello alla frontiera francese di Ventimiglia, tipo «chiuso per ferie»? Si organizza una deviazione per camion e merci? E verso dove? Torino o più su? In una circostanza del genere, la Tav ipercontestata e in continuo ritardo sarebbe stata d’aiuto, ma si sa come sta andando a finire. Si salvi chi può: a Genova è cominciata la «decrescita (in)felice».

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