ebook di Fulvio Romano

mercoledì 22 agosto 2018

La via tedesca all’integrazione degli immigrati (20

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Esteri

Boom di occupati fra chi è entrato nel 2015: ora sono autosufficienti e pagano le tasse

Lavoro a 300 mila profughi

la via tedesca all’integrazione

Altro che «emergenza». In tema di profughi, gli industriali e imprenditori tedeschi - oltre che il governo di Berlino - preferiscono parlare di un «miracolo migratorio». 

Il motivo di questo atteggiamento a dir poco entusiasta e benevolo nei confronti di quel milione e passa di rifugiati entrati in Germania nel 2015 grazie alla politica di accoglienza voluta dalla cancelliera Angela Merkel è presto spiegato e si può leggere nero su bianco nel nuovo rapporto migrazione pubblicato dall’Agenzia federale del lavoro a Norimberga. 

Nel primo semestre del 2018 il numero dei profughi politici in possesso di un posto di lavoro in Germania è salito alla cifra record di 306.574, 103mila in più rispetto allo stesso periodo del 2017. Di questi, ben 237.537 sono assunti con contratti a tempo pieno e indeterminato e sono persone già in grado - a nemmeno tre anni dal loro primo ingresso nel Paese - a sostenere da soli la propria esistenza e quella dei loro famigliari pagando regolarmente le tasse, i contributi previdenziali e sanitari e senza incassare nemmeno più un cent di sussidi. Quello tedesco si sta insomma trasformando in un esempio davvero sorprendente d’integrazione non solo umanitaria, ma anche e soprattutto economica e occupazionale.

Anche tra i profughi più giovani - quelli compresi tra i 16 e i 24 anni - i dati forniti dall’Agenzia federale indicano un trend più che positivo. 28mila di loro frequentano i corsi di apprendistato professionali pratici bi- o triennali all’interno di aziende private e fiancheggiati da studi teorici negli istituti pubblici. 

Nelle università della Germania il numero degli studenti ex-profughi è salito nel frattempo ad oltre 38mila. «Al contrario di quanto propagato dalle destre populiste in così tanti Paesi europei, l’ondata migratoria non rappresenta dunque una minaccia, ma è una grande occasione e una risorsa indispensabile per la nostra crescita e il nostro benessere», spiega il Presidente dell’Agenzia federale tedesca del lavoro Detlef Scheele. Basta saperla gestire e valorizzarla. 

Ed è proprio questo quello che ha fatto il governo tedesco negli ultimi anni investendo mezzi, personale e molte risorse. 

Secondo una stima del ministero dell’Interno lo stato tedesco fra spese di registrazione, accoglienza, corsi di lingua e formazione sociale, sussidi sociali, assegni familiari e aiuti allo sviluppo ha sborsato mediamente qualcosa come 20 miliardi di euro all’anno nella gestione del flusso migratorio. «Soldi investiti bene», spiega anche il direttore dell’Istituto tedesco di ricerche economiche (Diw) Marcel Fratzscher. «Solo i soldi pubblici spesi per l’accoglienza dei rifugiati hanno rappresentato per l’economia tedesca un pacchetto congiunturale che ha garantito una crescita annuale del Pil di circa lo 0,4%. L’integrazione dei profughi nel mercato del lavoro contribuisce a medio-lungo termine a garantire percentuali di crescita superiori alla media europea». 

A causa del costante invecchiamento della popolazione e dei bassi tassi di nascita le imprese tedesche lamentano già da tempo una cronica carenza di personale in molti settori chiave come quello della comunicazione digitale, dell’informatica, dell’ingegneria, ma anche nelle mansioni professionali più semplici del terziario, dei servizi e della sanità. 

Il numero dei posti vacanti è salito alla cifra record di 1,2 milioni. Un problema che nemmeno l’arrivo di oltre 680mila lavoratori provenienti da Paesi dell’Ue negli ultimi 6 anni è riuscito a mitigare. L’economia locomotiva d’Europa è in grado quindi di offrire prospettive concrete ai profughi e ha bisogno di loro I rifugiati come risorsa insomma e non come manodopera a buon mercato (nuovi schiavi) da far sgobbare nei campi di pomodori o patate che siano. 

Una delle chiavi dell’integrazione resta la lingua: una volta registrati e riconosciuti ufficialmente come perseguitati politici, i migranti sono costretti a frequentare corsi di tedesco. «L’apprendimento della lingua, parlata e scritta è essenziale per una buona integrazione», spiega Detlef Scheele. Solo nei corsi linguistici e di specializzazione professionale per profughi lo stato tedesco spende ogni anno 2,64 miliardi di euro. 

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walter rauhe