ebook di Fulvio Romano

domenica 5 novembre 2017

Nell’isola greca dove Leonard Cohen incontrò sé stesso

LA STAMPA

Cultura

Nell’isola greca

dove Leonard Cohen

incontrò sé stesso

Mai avrebbe potuto scrivere senza Marianne e la sua casa 

a Idra: sulle tracce del poeta-cantautore morto un anno fa 

Era stato Jacob Rothschild, con cui s’era messo a chiacchierare durante una festa, a suggerirgli di trasferirsi a Idra. C’era la casa del pittore greco Nikos Ghika, con cui sua madre Barbara Hutchinson stava per risposarsi; e soprattutto ci viveva una legione straniera di giovani artisti che la rendeva perfetta per uno che voleva fare lo scrittore. 

Siamo a Londra, nell’inverno del 1960, e Leonard Cohen ha bisogno di buoni consigli. È appena arrivato dal Canada, dove ha pubblicato una raccolta di poesie; e sta cercando un posto a buon mercato dove scrivere il primo romanzo. A Idra non aveva mai pensato. Ma trova irresistibile il fatto che sia contemporaneamente al centro del mondo e lontana da tutto. 

Michael Cacoyannis, nel 1955, ci aveva girato un film osannato dalla critica, Ragazza in nero. E l’anno dopo una bellissima Sofia Loren ci era sbarcata per interpretare la pescatrice di spugne di Il ragazzo sul delfino. Ma era specialmente grazie alla sua colonia di scrittori e intellettuali stranieri che il vento del Sessantotto, a Idra, aveva iniziato a soffiare con vari anni di anticipo rispetto al resto del mondo. 

Avamposto per visionari

Leonard ci arriva con il traghetto da Atene il 14 aprile 1960, e resta subito folgorato: la baia a ferro di cavallo, le barche alla fonda, gli asini in fila indiana sul pontile, i bastioni con i vecchi cannoni puntati verso il largo, i mulini a vento, le case di pietra bianca e grigia a forma di anfiteatro... Sembra l’ultima stazione del mondo prima del paradiso. Un paradiso austero e pieno di luce.

Sistematosi in una casetta in affitto, inizia subito a darci sotto con la macchina da scrivere. Gli è sempre piaciuto scegliere le parole, metterle insieme, costruirci le frasi. Ma il sole, il mare e la vita spartana (senza elettricità, telefono, acqua corrente...) in quell’avamposto per visionari gli danno una carica speciale, facendolo sentire come non si era mai sentito.

Katsikas, la drogheria del porto, vende vino, olio e altri generi di prima necessità. Ed è lì dentro che Leonard inizia a frequentare gli altri espatriati: gli scrittori George Johnston e Charmian Clift, che fanno da chioccia ai nuovi arrivati, e poi l’amico Steve Sanfield, il pittore Anthony Kingsmill, il poeta Sheldon Cholst, il romanziere Axel Jensen... 

La musa iperborea

Marianne Ihlen entra nella sua vita in punta di piedi, il giorno che da Katsikas si parlano per la prima volta. A lei colpisce il suo modo di usare le parole; a Leonard, cresciuto in una famiglia ebrea tradizionale, madre russa e papà militare, di quella ragazza norvegese così bella colpiscono soprattutto la gentilezza e la modestia. 

Per raggiungere la casa dove Leonard Cohen visse per quasi un decennio con Marianne seguo le indicazioni di un affittacamere e mi dirigo verso la parte alta del paese: supero il parco, la farmacia, la palazzina con gli infissi verdi, la bottega con quelli gialli, fino alla viuzza ribattezzata da qualche mese proprio con il suo nome. Sulla porta d’ingresso qualche fiore, alcuni biglietti, un cuore di fildiferro e un mucchietto di sassi come nei cimiteri ebraici. 

Leonard la compra nel settembre del 1960, con i 1500 dollari ricevuti in eredità dalla nonna. E in quelle stanze bianche e spoglie, nei sei anni successivi, scrive poesie e due romanzi. Ogni tanto si esibisce con la chitarra, come fa dai tempi del college; ma per le prime canzoni bisognerà aspettare il 1966, dopo l’uscita del romanzo Belli e perdenti, perché è a quel punto che nella sua testa si fa tutto più chiaro.

Per Sylvie Simmons (I am your man, the life of Leonard Cohen, Vintage Books, Londra 2013) la svolta dipende da due fattori concomitanti: l’aver capito che con i libri non guadagnerà mai abbastanza, dato che Belli e perdenti, come le opere precedenti, vende poco; e l’aver scoperto di saper scrivere canzoni come Bob Dylan, Joan Baez e Joni Mitchell, che in quegli anni di rinascita folk vanno per la maggiore.

Il suo destino si compie a New York. Quando fa ascoltare a Jody Collins qualche suo pezzo e lei decide di incidere Suzanne e Dress Rehearsal Rag per includerle nel nuovo album. Il nome di Leonard inizia a circolare, e nel giro di qualche settimana trova un produttore e firma un contratto discografico. Poi, tra il 1967 e il 1968, inciderà gli album Songs of Leonard Cohen Songs from a Room che lo faranno conoscere in tutto il mondo. 

E Idra? La casa? Marianne? Sarebbe sbagliato pensare che Leonard le abbia dimenticate. In realtà è vero il contrario, e cioè che senza di loro le cose sarebbero andate diversamente. Per convincersene basta ascoltare So Long, Marianne e Bird on a Wire, due dei successi di quei primi album. Brani intrisi di Idra, che Leonard si è portato dentro per anni, e che mai avrebbe potuto scrivere senza la sua casa e la sua musa iperborea. 

In pellegrinaggio

Sulla banchina ci saranno almeno una ventina tra bar e ristoranti, per non parlare di boutique, gioiellerie e barche da diporto in terza fila. In compenso non si vede un’auto, e neanche moto o bici. I veri padroni dell’isola sono i muli, uno per ogni quattro abitanti, che dalla notte dei tempi provvedono a ogni genere di trasporto. 

È anche merito loro se a Idra resiste l’atmosfera dei tempi antichi. E Leonard - che era uno che scriveva per Yeats, Lorca e gli altri poeti morti - l’aveva scelta proprio per questo. Dal 7 novembre dello scorso anno, da quando se n’è andato, non si contano quelli che vengono a vedere la sua casa o per intonare So Long, Marianne sulla panchina che gli hanno dedicato sul lungomare.

L’hanno inaugurata a giugno, con tanto di discorso del sindaco e taglio del nastro. Doveva essere un regalo per l’ottantesimo compleanno, ma poi si è messa di mezzo la burocrazia e c’è voluto più del previsto... Sulla targa c’è scritto «Poet, Novelist, Singer, Song-Writer, Artist», e non avrebbero potuto essere scelte parole più esatte. Perché fu proprio qui, tra il 1960 e il 1966, che Leonard Cohen capì di essere tutte queste cose mischiate insieme.

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Fernando Gentilini


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