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domenica 5 novembre 2017

L’argine al populismo istituzionale (Ugo Magri)

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Cultura

L’argine

al populismo

istituzionale 

Ogni tanto qualcuno ci casca. Trasportato dalla baldanza, o per colpa dell’inesperienza, sottovaluta il Colle. Ne interpreta cioè il garbo, che lassù è una condizione esistenziale, come segno di paura o debolezza. Cosicché nei passaggi politici più delicati si illude di approfittarne per forzare la mano all’inquilino «pro tempore». 

L’equivoco può rivelarsi catastrofico, in quanto non c’è fortezza più inespugnabile del Quirinale. Se messo alle strette, il Capo dello Stato dispone di veri e propri super-poteri, talmente grandi che tra i costituzionalisti si discute se non sarebbe meglio conferirli attraverso un’elezione popolare diretta come avviene in Francia (lo sosterrà un convegno di Libertà Eguale, il 2-3 dicembre a Orvieto). Se ne è accorto Silvio Berlusconi che prima con Oscar Luigi Scalfaro, poi con Carlo Azeglio Ciampi, infine con Giorgio Napolitano ha sperimentato la potenza di fuoco quirinalizia, uscendone malconcio. Guarda caso, adesso il Cav si segnala tra i politici più rispettosi delle prerogative presidenziali.

Matteo Renzi, invece, e Luigi Di Maio sono ancora in fase di apprendimento. Nell’arco di pochi giorni, entrambi hanno sfidato Sergio Mattarella su questioni assai diverse che, tuttavia, riguardavano le funzioni proprie del Garante. In un caso, con un colpo di mano parlamentare, il Pd ha tentato di bloccare una nomina su cui l’ultima parola sarebbe spettata per legge al presidente. Nell’altro caso, la piazza grillina non ha esitato a evocare l’«impeachment» qualora Mattarella avesse messo la firma in calce al «Rosatellum». La risposta del presidente è suonata in linea con quella che i predecessori diedero a Berlusconi. Ignazio Visco resterà in Via Nazionale nonostante Renzi volesse defenestrarlo; la riforma elettorale è stata promulgata venerdì senza nemmeno una riga che lasciasse trasparire dubbi o riserve.

Il giorno che verrà scritta una storia del settennato (sarebbe prematura), verranno in luce altri passaggi dove la volontà di Mattarella si è imposta contro il populismo istituzionale. Per esempio all’indomani del referendum sulla Costituzione e dopo le dimissioni del governo Renzi. Sembrava che saremmo tornati a votare in gennaio, quindi a febbraio, successivamente ad aprile, a giugno, a settembre (circolava perfino la data del 24, in concomitanza con le elezioni tedesche). Invece arriveremo a normale scadenza della legislatura. Mattarella pretendeva una legge per andare ordinatamente al voto, e l’ha ottenuta. Auspicava un largo consenso parlamentare, e ha avuto anche quello sebbene meno vasto di come sarebbe stato sul modello tedesco. Da questo braccio di ferro, Mattarella esce senza dubbio vittorioso.

Negare il temperamento dell’uomo sarebbe ingiusto. Già prima di essere eletto, aveva mostrato una certa tenacia sulle regole: chi ha voluto Mattarella doveva immaginarlo, adesso è tardi. Ma più del carattere, in questo caso contano i rapporti di forza, che pendono tutti dalla parte del presidente. I suoi poteri lo renderanno arbitro della prossima stagione politica, forse addirittura «deus ex machina» con cui fare i conti se la volontà del popolo non emergerà chiara dal voto. Prima se ne renderanno conto i protagonisti, e meglio sarà per tutti.

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Ugo Magri


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