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Centrodestra
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Il diktat di Berlusconi
per non aiutare Grillo
Il Cav ritiene il leader Pd quasi finito
“Chi va in tv non parli di larghe intese”
Il Cav ritiene il leader Pd quasi finito
“Chi va in tv non parli di larghe intese”
D’ora in avanti, vietatissimo parlare di larghe intese con Renzi, di possibili alleanze post-elettorali con Renzi, di governi magari un giorno con Renzi... Anzi, per non sbagliare, il nome Renzi meglio evitarlo del tutto. È il consiglio, praticamente un ordine, che Silvio Berlusconi impartisce a tutti quanti vanno a rendergli omaggio in queste ore. Lui per primo ha dato l’esempio nelle dichiarazioni dopo il voto in Sicilia: non ha infierito vigliaccamente sul Pd, questo no; però nemmeno ha difeso Matteo dalla muta di cani che lo insegue. L’ha ignorato e stop, sostenendo che «la vera sfida d’ora in avanti sarà coi Cinquestelle» (così ripete pure su Twitter). Allo stesso modo Berlusconi vuole che si regolino gli esponenti “azzurri” nelle loro comparsate tivù e, a quanto risulta, l’intero ambaradan mediatico che ruota intorno a Forza Italia, social network compresi.
Gasato dai sondaggi che quotano il centrodestra nettamente in testa, l’ex premier non si accontenta più di un pareggio. Alle prossime elezioni politiche vuole fare bottino pieno. E l’idea di venire a patti con la sinistra gli suona a questo punto rinunciataria, quasi insultante. Ecco perché Renzi ad Arcore non è più di moda. Ma c’è una seconda ragione: evocare in campagna elettorale l’”inciucio” col Pd sarebbe un assist pazzesco ai Cinquestelle. Berlusconi non è in vena di fare regali a Grillo e nemmeno a Salvini che per un verso sarà alleato ma per un altro verso duro competitor nella quota proporzionale. Infine (ecco il terzo perché), il Cav considera Renzi un pugile alle corde, politicamente quasi un “appestato” dal quale stare alla larga per non subirne il contagio. Così vanno le cose del mondo, quando cadi in disgrazia: tutti ti scansano e Silvio non fa eccezione. Dovendo proprio coltivare rapporti a sinistra, non si sa mai, l’uomo preferisce tenerli con Paolo Gentiloni, che in caso di stallo metterebbe a Palazzo le radici, al limite con Dario Franceschini. Addirittura, secondo fonti a lui molto prossime, Berlusconi non si strapperebbe le vesti se anziché in marzo si votasse a maggio, consentendo così ai “Dem” di regolare con calma i conti col segretario.
In base a un puro calcolo di convenienza, Berlusconi adesso punta tutto su Salvini e Meloni, coi quali si è visto a Catania dopo mesi di dispetti, senza peraltro chiarire nulla. Quei due, a loro volta, continuano a considerarlo vecchio e ingombrante. Tuttavia si rendono conto che, ancora per un giro, il Cav rimarrà imprescindibile. Così si vanno acconciando alle possibili intese, convessi in pubblico e concavi in privato. Sul terreno di più aspra contesa, che sarà la spartizione dei collegi, già si affaccia qualche mediazione. Si immagina ad esempio di calcolare il numero complessivo dei seggi spettanti a Forza Italia, alla Lega e a Fd’I sulla base dei sondaggi più attendibili. Quindi di ripartirli in base a uno schema più volte collaudato: tot collegi sicuri a Berlusconi, tot a Salvini, tot a Meloni; stessa percentuale di collegi incerti all’uno, all’altro e all’altra ancora. Con un occhio al radicamento territoriale dei candidati, in modo da ottimizzare le chance collettive. I forzisti del Sud sono in fermento perché temono che, con questa scusa, la Lega si cucchi tutte le meglio poltrone. Però Maurizio Gasparri, esperto di queste trattative, è fiducioso: «Sentiremo urla e strepiti, qualcuno farà finta di rovesciare il tavolo, ma alla fine dalla stanza uscirà un accordo. Come è sempre stato in passato, solo con meno fumo di sigarette».
Ugo Magri