ebook di Fulvio Romano

giovedì 17 luglio 2014

Renzi, Berlusconi e Grillo, tutti d'accordo: abolito di fatto l'art. 67 della Costituzione...

LA STAMPA

Italia

“Vietato dissentire”: così i partiti

reintroducono il vincolo di mandato

Dal premier a Berlusconi, passando per Grillo: l’articolo 67 viene scavalcato

Il primo ritocco alla Costituzione - in attesa della riformona in discussione a Palazzo Madama - è stato apportato senza annunci né discussioni e nemmeno voti. È entrato nella prassi politica così, come un improvviso soffio di vento per il quale è volato via l’articolo 67 dalla carta repubblicana, quello secondo cui «ogni membro del Parlamento rappresenta la nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato». Traduzione: è libero di decidere come gli pare e non secondo gli ordini del capo. E però le disposizioni sono oggi all’opposto: ai deputati e ai senatori sembra essere stata negata anche soltanto l’ipotesi di avere un’opinione. Il vicesegretario del Partito democratico, Debora Serracchiani, mercoledì a Radio Anch’io, ha detto di non credere «che ci sia una questione di coscienza se si tratta di fare una riforma costituzionale che riguarda il Senato». Dunque i dissidenti non si appellino alla coscienza. È consentito farlo se si discute di matrimoni omosessuali o di fecondazione assistita, non se ci si sta occupando della più rivoluzionaria riforma della Costituzione nella storia della Repubblica. Lì la coscienza è fuori gioco, come la Costituzione. Prevale, secondo la Serracchiani, quello che nei partiti comunisti si chiamava centralismo democratico, ossia la necessità di votare secondo le decisioni della maggioranza, di modo che il dissenso non ostacolasse l’avvicinamento al Mondo Nuovo (Lenin scrisse nel 1906 «libertà di discussione, unità d’azione»).

«Rimango ancorata all’idea che se si fa parte di un partito si resta ancorati anche alle regole democratiche che prevedono che quando il partito prende una linea, quella linea venga comunque rispettata», dice alla radio la Serracchiani, riconoscendo - nello spazio di un inciso - che esistono comunque delle libertà costituzionali. Matteo Renzi non si è infilato in simili tecnicismi, così contorti da qualche tempo a questa parte. Lui più bruscamente non riconosce dignità di pensiero agli oppositori. Non importa che cosa dicono, importa perché: sono gufi, sono conservatori, sono venali. «A mio giudizio - ha detto al Corriere della Sera - l’obiettivo dei frondisti è affermare l’elezione diretta per poter dire che il Senato deve avere ancora più poteri. Non si rassegnano all’idea della semplificazione e del fatto che non ci sia indennità per i senatori». E l’altra sera, nell’incontro coi parlamentari trasmesso in streaming, ha garantito di essere «pronto a governare il partito anche con chi non la pensa come me. Ma a condizione che sui tempi e sull’urgenza la pensiamo come gli italiani: non c’è un minuto da perdere». Dunque si fa subito: il dibattito no! Proprio come Silvio Berlusconi, che mercoledì, davanti ai parlamentari forzitaliani contrari alle riforme renziane, ha minacciato di dar lavoro ai probiviri, cioè - come è stato scritto su questo giornale - alla Santa Inquisizione dei partiti.

In Forza Italia chi dissente è un traditore, da tempo. «Andatevene», ha detto il capo, scorato dalle preoccupazioni processuali e sorpreso da un dissidio così vigoroso. Andatevene da Alfano, ha detto, andatevene insieme con Fitto. E poi ad andarsene (dalla stanza) è stato lui, mentre una decina dei suoi aveva la mano vanamente alzata: non è stato loro consentito di illustrare le ragioni di divergenza. E così, guarda un po’, stavolta ne esce alla grande Beppe Grillo, uno che il vincolo di mandato lo teorizza: chi devia dall’ordine impartito - dalla rete o dal vertice - se ne vada fuori dai piedi. Sostiene la teoria citando Simone Weil, una che peraltro diceva esattamente l’opposto. Stavolta, però, è andato tutto liscio. Nessuna idea dissonante con cui vedersela, nessun dissidente da espellere. Il Movimento cinque stelle ha marciato compatto, con una disciplina degna dei rivoluzionari di Lenin del 1906.


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