Camilleri, ma si rende conto? Se avesse sempre mantenuto il ritmo degli ultimi vent’anni, forse avrebbe battuto il record del suo amato Simenon. Invece, prima, soltanto quattro titoli: dal 1959, quando, trentaquattrenne, pubblicò un seriosissimo studio su I teatri stabili in Italia 1898-1918, ai tre romanzi usciti tra il ’78 e l’84. Poi, nel ’92, La stagione della caccia, e da allora l’esplosione: perché così tardi?
«Perché è solo dal ’92 che mi sono dedicato esclusivamente alla scrittura. Prima mi occupavo anche di teatro, televisione, radio, insegnavo al Centro Sperimentale di Cinematografia, all’Accademia d’Arte Drammatica…».
Ecco, appunto: era distratto. E tra le occupazioni che lo distraevano c’era proprio (anche) il Maigret di Simenon, il commissario della Sûreté parigina di cui curava le sceneggiature per la serie con Gino Cervi nella tv in bianco e nero degli anni 60. Come se lo stesso scrittore belga, autore di 224 romanzi lunghi (di cui solo un terzo polizieschi) e circa 450 tra romanzi brevi e racconti, avesse presentito l’insidia, si fosse voluto cautelare.
E ora che Camilleri di anni ne ha quasi 89, la stessa età raggiunta dal papà di Maigret, e ha anche lui un suo commissario noto ai lettori come al più vasto pubblico televisivo, è il momento di fare due conti: 22 romanzi della serie Montalbano e 23 di quella cosiddetta storica e civile pubblicati con Sellerio (che gongola: 18 milioni di copie vendute, diritti ceduti in 35 Paesi), a cui bisogna aggiungere le innumerevoli raccolte di racconti e i romanzi e i saggi di varia natura, che spaziano dall’Otto-Novecento (ma anche molto più indietro) ai giorni nostri, dalla critica alla linguistica all’arte all’attualità. Senza che la quantità nuoccia mai alla qualità. Un vero Stakanov della produzione letteraria, con una media di quattro titoli nuovi ogni anno (ma punte anche di otto-nove, includendo gli scritti occasionali), per un totale di un centinaio di volumi.
«Sì, sì…», riconosce lui.
E oltre ai libri ci sono gli articoli per giornali e riviste, le prefazioni, e naturalmente la collaborazione all’adattamento televisivo di Montalbano, e le prese di posizione e gli interventi nel dibattito politico da intellettuale naturaliter impegnato a sinistra. Ma è soprattutto quella cifra che fa impressione…
Cento libri in 22 anni, è mostruoso: Camilleri, un po’ non è spaventato? «Sì, dicono tutti che io scrivo troppo, però non so che farci. Nel momento in cui smetterò di scrivere credo che avrò poco da fare su questa terra. Cerco di allungarmi la vita scrivendo».Andrea Camilleri parla nello studio lungo e stretto della sua casa romana vicina alla Rai, dove ha lavorato per una vita, nell’altra sua vita. La voce è quella cavernosa di sempre, come nella famosa imitazione di Fiorello («No, non ho smesso di fumare, ormai i medici si sono stancati. Solo al whisky ho rinunciato, è l’unica concessione che gli ho fatto»). È in partenza per la montagna, dove passerà l’estate: scrivendo. Intorno ci sono quadri e sculture (Canevari, Messina, Greco, Attardi: i suoi amici), fotografie e poster, i suoi cd di jazz, scaffali rigurgitanti volumi. È qui che nascono, in gran parte, i suoi libri.
Ma com’è: nella vita di prima queste storie non le urgevano dentro? Oppure non le venivano proprio le idee? «Le idee mi venivano, ma non mi piacciono le interferenze mentre faccio un’altra cosa. Siccome sono un uomo ordinato, le mettevo accuratamente da parte. E ogni tanto le utilizzavo. Infatti capita spesso che gli ex allievi dell’Accademia mi dicano: queste storie le abbiamo già sentite, Andrea. Perché me ne servivo per fare esercizi di recitazione. Ma non le mettevo per iscritto: erano storie che avevo nella mia memoria». E poi le ha ritirate fuori quando ha cominciato con i romanzi. «Soprattutto nel caso dei primi due, Il corso delle cose e Un filo di fumo: sono i libri che ho maturato più a lungo dentro di me. Ne raccontavo episodi, pezzetti. Tessere di un mosaico, che poi quando ho cominciato a scrivere ho messo assieme». Quindi i suoi libri sono tutti scritti sul momento, non è che sta svuotando i cassetti. «Tutti freschi di giornata, come le uova! Nessun cassetto da svuotare. Casomai, per ragioni di opportunità editoriale, può accadere che si rimandi la pubblicazione di un libro di uno o due anni». Come si fa a scrivere così tanto? Quanto tempo le occorre per completare un romanzo? «In realtà quello della scrittura è una sorta di momento conclusivo, perché nel corso della giornata, anche se sono impegnato in altre faccende di poca importanza, continuo a pensare al romanzo che ho in mente. Quindi va a finire che quando mi siedo davanti al computer io in realtà metto in bella alcune idee che sono andato via via pensando il giorno avanti. Questo, insieme con una sistematicità di orario, quasi da impiegato, dalle 7 e mezzo-otto fino alle 11 del mattino, mi consente di scrivere tanto. Una volta finito il romanzo, però, io lo lascio “decantare”, lo lascio per un mesetto, poi ci rimetto mano, me lo rileggo tutto, lo correggo… La durata di scrittura di un Montalbano è in media tre mesi». La prima stesura, prima della decantazione, quanto tempo porta via? «Parecchio. Vede, succede così: io scrivo al computer una pagina. Dopodiché questa pagina la stampo e me la leggo e rileggo ad alta voce – la lettura ad alta voce per me è fondamentale, perché sento il ritmo del racconto, e dove c’è un intoppo, un ingorgo, mi rimetto al computer e cerco di sciogliere, di correggere, finché non sono soddisfatto. Diciamo che una pagina viene riscritta minimo tre o quattro volte». Ci sono periodi dell’anno più produttivi? «No no, io scrivo tutti i giorni. Anche se non ho niente da raccontare: scrivo a un signore che ho incontrato per caso a un’edicola che comprava dei giornali diversi dai miei…, gli scrivo una lettera, che poi naturalmente cancello. Ritengo assolutamente indispensabile mantenersi in esercizio. Come un pianista». Luoghi preferiti? «Naturalmente quando sono qui a Roma scrivo nel mio studio, ma posso scrivere dovunque, non ho preferenze o rituali particolari. Per esempio nei giorni scorsi sono stato in campagna da mia figlia, e lì ho lavorato col portatile». Come nascono le sue storie? «Io sono assolutamente incapace di inventarmi una storia ex novo, credo che non mi sia accaduto più di tre o quattro volte. Per ciò che riguarda la serie di Montalbano mi servo di vecchie notizie che poi rielaboro fino renderle irriconoscibili. Nel caso degli altri romanzi parto da pagine e frasi lette in qualche saggio storico, che mi sono rimaste particolarmente impresse e mi hanno “eccitato” la voglia di ricamarci sopra». Quanti libri già pronti giacciono da Sellerio, in attesa di essere pubblicati? «I Montalbano saranno… aspetti… uno, due… cinque, mi pare». Quindi si può dire che l’editore non riesce a stare dietro al suo ritmo di scrittura. «Beh sì, certo, anche lui deve spaziare. Mica può fare una casa editrice soltanto per me». C’è un romanzo che giace da molto tempo? «L’ultimo Montalbano, che ho scritto nel 2005, quando ho fatto 80 anni. Mi era balenata l’idea di come far finire la serie, e temendo la vecchiaia l’ho concluso subito e mandato a Elvira Sellerio, che era ancora viva, perché lo pubblicasse quando avrei smesso di scrivere sul commissario. Nel finale c’è una contrapposizione tra il personaggio letterario e quello televisivo, ma Montalbano non va in pensione e non muore: sparisce come personaggio, e quindi non c’è possibilità poi di riprenderlo, come è successo a Sherlock Holmes e altri». E in questo 2014, in cui siamo già a cinque titoli nuovi tra romanzi e raccolte di scritti, che cosa possiamo ancora aspettarci? «A settembre uscirà per Rizzoli un libro intitolato Donne, a fine ottobre per Sellerio una serie di racconti del giovane Montalbano. E per quest’anno può bastare, no?».