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giovedì 31 luglio 2014

Chauvet, la grotta dove 37 mila anni fa nacque l'arte e finora non visitabile...

Il 18 dicembre 1994 Jean-Marie Chauvet e due suoi colleghi speleologi, Eliette Brunel e Christian Hillaire, scoprono sull’altopiano calcareo dell’Ardèche, nel Sud-Est della Francia, una spettacolare grotta dipinta: la più antica fino a oggi mai rinvenuta in Europa.

«La prima volta che sono entrato nella caverna, pochi giorni dopo il rinvenimento», ricorda Jean-Michel Geneste, specialista di arte rupestre, direttore del Centro nazionale francese della Preistoria e responsabile dell’équipe che studia il celebre antro preistorico, iscritto da pochi mesi nella lista del Patrimonio mondiale dell’Unesco, «ho avuto l’impressione di trovarmi di fronte a una replica della perfezione di Lascaux, considerata fino ad allora l’apogeo artistico della creatività preistorica. Ma tutte le certezze riguardo all’arte di quel periodo, il Paleolitico superiore, sono andate in frantumi quando si è constatato che i capolavori immortalati sulle pareti della grotta Chauvet sono più antichi rispetto a quelli di Lascaux di una buona ventina di millenni, essendo stati dipinti 37 mila anni fa».

Si scopre così che i nostri antenati diretti, gli Aurignaziani, erano capaci di astrazione intellettuale. Che dominavano perfettamente tecniche molto complesse, come quelle dello sfumato e della prospettiva, in grado di dare volume alle rappresentazioni, ma anche di raffigurare un autentico dinamismo. «Soprattutto», sottolinea Geneste, «ci si rende conto che d’ora in poi l’arte non potrà più essere letta come un movimento storico lineare, bensì come un susseguirsi di apogei e di declini». E Chauvet rappresenterebbe appunto un picco di straordinaria riuscita tecnica ed estetica.

Ermeticamente chiusa circa 22 mila anni fa da una frana, che l’ha sigillata e fatta pervenire fino a noi in condizioni pressoché perfette, la cavità sotterranea poggia su un suolo coperto di ossa, crani e impronte di orso, lasciati dagli enormi erbivori che l’abitavano. Tracce di carbone di legno, usato per dar luce alle torce, possono dare un’idea delle condizioni di misteriosa oscurità nelle quali l’artista concepiva i suoi disegni, mai disposti a caso.

Mammut, leoni, rinoceronti, cavalli, bisonti, cervidi sembrano sorgere dalla roccia, dalle incavature e dai rilievi. L’atmosfera è densa di riferimenti sessuali. Così, una coppia di leoni assorti nei preliminari dell’accoppiamento si confronta con un’altra, di concezione più complessa, formata da un bisonte dalle braccia umane, disegnato in sovrapposizione a un corpo di donna visto di fronte, con gambe, triangolo pubico e vulva, ma terminante con fattezze di leone. Un animale che doveva affascinare gli Aurignaziani, e con il quale i nostri antenati condividevano una preoccupazione fondamentale: l’accesso all’alimentazione carnea, ossia la predazione. Infatti secondo alcuni antropologi le scene di caccia rappresentate sulle pareti della grotta potrebbero essere, più che un reportage naturalistico, un’allegorica identificazione dell’uomo cacciatore con il leone delle caverne, simbolo per eccellenza della virilità.

Stiamo parlando di un’era glaciale con temperature massime di cinque gradi. Gli esseri umani sull’intero pianeta non arrivavano a un milione, avevano la pelle scura, un cervello esattamente come il nostro, ma vivevano in simbiosi con gli animali, infinitamente più numerosi e più forti. Nella lotta per la sopravvivenza, grazie al suo cervello l’uomo ha saputo avere la meglio, come dimostra il fatto, fa notare Geneste, che ancora oggi noi siamo qui.

Da oltre cento anni, cioè da quando viene riconosciuta l’esistenza di un’arte rupestre, le ragioni che hanno dato vita a questi affreschi in periodi così antichi alimentano vivi dibattiti. Oggi la figura centrale dell’animale e il suo ruolo non chiaramente definito rispetto alle varie immagini - racconti figurati avvicinabili a una vera e propria scrittura - sono al centro della riflessione scientifica.

La grotta, ribattezzata «La caverne orneé du Pont-d’Arc, dite Grotte Chauvet», non è mai stata data in pasto al pubblico per evitare le disastrose conseguenze imputabili all’afflusso dei visitatori, che hanno già portato alla chiusura della magnifica Lascaux. Gli appassionati di preistoria dovranno accontentarsi di visitarne il facsimile, in corso di costruzione: una replica perfetta in scala reale, realizzata con le tecniche più sofisticate, capace di restituire emozioni, sensazioni uditive, umidità, luce e odori, come se fosse vera. L’apertura al pubblico è prevista per il 25 aprile 2015.

Daniela Fuganti


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