“Né serio né concreto”: il giudice boccia
il piano dell’azienda
«Né serio, né concreto». È senza appello, e decisamente molto severa, la valutazione che il giudice per le indagini preliminari Fiorenza Giorgi ha dato del progetto presentato da Tirreno Power per ottenere il dissequestro dei gruppi a carbone Vl33 e VL4 della centrale di Vado. La doccia gelata per Tirreno Power è arrivata ieri mattina con il deposito del provvedimento in cancelleria. Il pronunciamento arriva in risposta alla richiesta che era stata presentata il 14 maggio scorso dal pool di legali dell’azienda, coordinati dall’ex ministro Paola Severino: un documento nel quale si chiedeva il dissequestro dei gruppi a carbone da attuarsi attraverso un “esercizio provvisorio” dell’impianto, che avrebbe rispettato precise “prescrizioni” sotto la supervisione dei tecnici nominati dal gip.
Sul progetto dell’azienda, che proponeva di ridurre le emissioni e rientrare nel rispetto delle Mtd (migliori tecnologie disponibili), il 26 giugno scorso era già arrivata la secca bocciatura della Procura con il parere negativo del procuratore Granero e del pm Paolucci. Una posizione che, dopo settimane di valutazione e analisi del progetto, non è stata stravolta dal giudice Giorgi. Anzi.
Alla base del rigetto c’è la «credibilità» del progetto di Tirreno Power che, secondo il gip, «non può ritenersi né serio né concreto». Nelle motivazioni si rileva che «l’allineamento alle Mtd è previsto tra più di due anni» (non prima dell’ottobre 2016) e l’azienda, nella sua proposta, non prevederebbe l’installazione di un «sistema di misurazione delle emissioni veramente adeguato», ovvero lo Sme al camino che Tirreno Power non ha mai installato. Pesa anche il fatto che l’azienda, secondo il giudice, abbia subordinato l’avvio e il completamento del programma «ad attività procedurali e decisioni di merito della pubblica amministrazione», quindi a elementi non certi e al di fuori delle proprie possibilità decisionali.
Circa il valore limite delle emissioni la bocciatura si concentra su quelle relative al biossido di zolfo che rispetterebbero le Mtd (in riferimento ai limiti inferiori), ma sulla media mensile e non giornaliera come prevedono le linee guida europee.
D’altra parte - e anche qui la censura del giudice è se possibile ancor più severa - «balza subito agli occhi come la società, dopo aver dichiarato, nel procedimento amministrativo finalizzato al rilascio dell’Aia, che i vecchi gruppi a carbone non sarebbero risultati ulteriormente migliorabili in termini di prestazioni ambientali, nell’istanza in esame sostenga il contrario». Altrettanto per la possibilità di accensione a metano degli impianti a carbone, intervento definito irrealizzabile nello studio di fattibilità presentato ad aprile 2013 “in quanto tecnicamente ed economicamente non sostenibile” e invece inserito tra i miglioramenti promessi nella seconda fase del cronoprogramma».
Con queste premesse il progetto dell’azienda non può ritenersi adeguato e, di conseguenza il gip «non può consentire la ripresa di un’attività che per almeno due anni sarà svolta al di sopra delle performances ambientali richieste e per la quale non sussiste alcuna seria garanzia». Il giudice, concordando con la Procura, rileva che, accogliendo l’istanza, non farebbe altro che «autorizzare la ripresa di un’attività criminosa». E di conseguenza, nonostante l’istanza sia stata valutata «con particolare favore, tenuto conto delle gravi ricadute occupazionali che potranno seguire al suo rigetto», viene respinta.
Non manca un riferimento alle reali intenzioni di Tirreno Power di investire sull’impianto vadese: prendendo in esame due documenti aziendali («piano di ristrutturazione avanzamento attività» e «manovra di ristrutturazione finanziaria» approvati dal cda nell’ottobre e nel novembre del 2013) secondo il gip emerge come non fossero previsti né la costruzione del Vl6 (il nuovo gruppo a carbone) né l’ambientalizzazione dei gruppi esistenti e fosse anzi stato previsto il licenziamento, fra il 2014 e il 2016, di 120 dipendenti, più altri 11 dopo lo smantellamento dei gruppi a carbone. Un «business plan» che, di fatto, per il giudice confermerebbe solo la mancanza di volontà da parte di Tirreno Power di investire nella centrale di Vado per migliorarne l’impatto ambientale.