Cultura
La cultura pop dei ’60 diventa un culto
con “Il cielo in una stanza”
Chi lo avrebbe mai detto che Gino Paoli sarebbe stato il soggetto di una mostra di arte contemporanea o meglio di una performance di arte contemporanea. Infatti dal prossimo 3 febbraio all’11 marzo del 2018 il Museo nazionale del Galles a Cardiff ha commissionato all’artista Islandese Ragnar Kjarstanson un opera che consiste in dieci organisti che suoneranno su un organo del ’700 «Il cielo in una stanza», la canzone appunto composta da Gino Paoli nel giugno del 1960. Non solo gli organisti dovranno anche cantarla. Si calcola che nel corso delle otto e passa settimane la famosa canzone sarà cantata più di 3000 volte su uno strumento, il famoso organo di Sir Watkin William Wynn’s un nobile inglese appassionato di musica ed arte vissuto alla metà del ’700. L’organo di solito è suonato al massimo una volta al mese, ma i responsabili del museo garantiscono che è pronto a sostenere la maratona Gino Paoli. L’artista considera la canzone come l’inno nazionale italiano all’amore. Non solo visto che la canzone parla di un stanza destrutturata dove le pareti diventano una foresta infinita e il soffitto scompare diventando il cielo, Kjarstanson crede che in tempi come questi la canzone di Paoli sia anche un inno che incita a superare frontiere, barriere e confini. Ma la cosa molto interessante è vedere come la cultura italiana pop degli Anni 60 sia ancora capace d’influenzare oltre i propri confini le nuove generazioni, in questo specifico caso un artista fra i più caldi del momento. Non solo essendo la canzone cantata in lingua originale si presume che gran parte del pubblico gallese non capirà le parole, tuttavia siamo sicuri che ne rimarrà incantato. Perché? Perché al mondo forse non esiste altra nazione che fa parte in modo così diffuso dell’immaginazione collettiva. Siamo un’idea più che una realtà. Se sia un bene o un male non si sa, ma certo la soddisfazione è tanta. Un piccolissimo lembo di terra che da secoli fa sognare il resto del pianeta. La stanza di cui parla Gino Paoli allora forse è l’Italia stessa. Un luogo, forse a volte un po’ claustrofobico e caotico, ma che, quando ci sono le persone giuste, diventa un universo infinito di fantasie e sogni. Ragnar Kjarstanson meriterebbe la cittadinanza onoraria. Una sola domanda viene per concludere spontanea, essendo stato Gino Paoli per tanto tempo presidente della Siae, gli farà pagare i diritti di autore per tremila volte o generosamente farà un forfeit?
Francesco Bonami