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mercoledì 14 agosto 2013

Privilegio di casta, non agibilità politica

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Cultura

Incandidabilità conta la data della sentenza

In una stagione difficile delle nostre istituzioni e non poco tormentata per le continue polemiche, sarebbe opportuno almeno intendersi sul significato effettivo delle parole e sul contenuto delle norme che si cerca di applicare o di eludere. Invece, non di rado sembra di essere davvero in una sorta di confusa recita.

Recita nella quale molti attori improvvisano, usando perfino parole inventate o dal significato improprio.

Solo un primo esempio «minore»: qualche giorno fa un noto esponente della Lega non ha trovato di meglio, per continuare a polemizzare con il ministro Kyenge, di lanciare l’idea di un referendum abrogativo della legge che disciplinerebbe il “Ministero” da lei diretto, allorché un parlamentare di lungo corso come Salvini dovrebbe sapere che i Ministri “senza portafoglio”, come la Kyenge, non sono a capo di un Ministero, ma sono invece incardinati nella Presidenza del Consiglio.

Che dire poi dell’ardito neologismo «agibilità politica» che si vorrebbe garantire ad ogni costo al senatore Berlusconi, di recente – come ben noto - condannato in via definitiva? Nel linguaggio comune si dovrebbe parlare di privilegio sul piano del trattamento penale per un esponente politico di particolare rilevanza, peraltro in deroga del tutto evidente all’aureo principio di eguaglianza, sorto proprio per affermare che anche i «Principi» sono sottoposti alla legge, come tutti i cittadini.

Ma soprattutto un chiarimento appare necessario in relazione all’affermazione di alcuni che sarebbe inapplicabile al senatore Berlusconi o palesemente incostituzionale, in quanto retroattiva, la recente legislazione in tema di incandidabilità, che lo escluderebbe dalle liste elettorali per almeno sei anni, così come da cariche di governo. Infatti, la recentissima legislazione del 2012 si applica pacificamente a tutti coloro che siano stati ritenuti colpevoli in via definitiva per alcuni gravi delitti non colposi: ciò senza distinguere se i delitti siano stati compiuti prima o dopo il momento in cui queste disposizioni sono state rese più severe.

Ma, così argomentando, si dimentica che il divieto di retroattività è assoluto solo per le sanzioni penali, come garantito dall’art. 25 della Costituzione, mentre in tutti gli altri casi il legislatore può disporre anche retroattivamente, salva solo l’eventuale palese irragionevolezza della disciplina. Nel caso a cui ci si riferisce esisteva un forte allarme sociale per fenomeni di diffusa illegalità e per anomali rapporti fra parti delle classi politiche e soggetti di dubbia correttezza amministrativa; anche da ciò la consapevole scelta del nostro legislatore di rendere più stringente la precedente disciplina, chiedendo in particolare più severi requisiti per coloro che intendono candidarsi alle elezioni o rimanere ad operare nelle assemblee elettive, così come è reso largamente possibile al legislatore dall’art. 51 della Costituzione.

In quest’opera di opportuno rafforzamento della precedente legislazione è rimasto ovviamente confermato il principio che, al fine di ridurre i pericoli di degrado delle assemblee elettive, ciò che conta non è la data di compimento dei reati, ma il passaggio in giudicato della sentenza che ha accertato in via definitiva la colpevolezza dell’imputato che desidererebbe restare od entrare nelle assemblee rappresentative.

Ugo De Siervo


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