ebook di Fulvio Romano

mercoledì 7 ottobre 2015

L’autogol del Salone del libro

LA STAMPA

Cultura



Dispiace che la lezione non sia stata ancora capita. Eppure, è sempre la stessa e vale per la puritana America come per la subalpina Torino: si può sbagliare, ma non si può ingannare.

L’ultima puntata della brutta telenovela che «Il Salone del libro» sta mostrando agli italiani non avrà, forse, risvolti giudiziari, ma colpisce qualcosa persino di più importante, la credibilità e la fiducia che le istituzioni pubbliche devono mantenere per pretendere di governare e rappresentare i cittadini.

La nuova presidente, ma anche ex consigliera, della Fondazione proprietaria della più grande e unica fiera del libro italiana, Giovanna Milella, ha rivelato che, negli ultimi tre anni, le presenze alla manifestazione sono state gonfiate del 20 per cento, contando, in totale, 65 mila ingressi «fantasma». Il riconfermato direttore, Ernesto Ferrero, ha ammesso il trucco dei numeri, ma l’ha giustificato come un «make-up, un abbellimento di cipria e rossetto che rientra nelle normali pratiche di marketing».

Torino, dopo gli anni della crisi della Fiat e i fasti dell’Olimpiade invernale del 2006, ha puntato proprio sulla cultura come uno dei motori fondamentali della necessaria riconversione vocazionale della città. Operazione difficile, naturalmente, ma che in questi anni ha ottenuto primi risultati confortanti, attraverso la valorizzazione del patrimonio artistico e museale, la moltiplicazione di eventi congressuali e fieristici e, soprattutto, cercando di sviluppare le potenzialità dei suoi due atenei, il Politecnico e l’Università. Così, la manifestazione culturale di maggior richiamo nazionale e internazionale, il Salone del libro, appunto, è diventata vetrina e, in un certo senso, termometro delle tappe raggiunte dalla città verso la completa affermazione di questo nuovo indirizzo.

La crisi finanziaria e gestionale del Salone, ma anche gli errori di scelte politiche compiute da Comune e Regione nell’affrontarla, rischiano gravemente di intaccare il patrimonio di credibilità, sia della stessa manifestazione, sia dei risultati già ottenuti su questo percorso, sia e soprattutto, della possibile realizzazione dell’obbiettivo annunciato: Torino come città della conoscenza. Il riassunto dei colpi ricevuti in questi mesi è impressionante e intollerabile: prima, l’inchiesta per peculato sull’ex presidente Picchioni; poi, l’incauta nomina al vertice del Salone della coppia femminile Milella-Cogoli, sfociata in un prematuro e clamoroso divorzio; in seguito, le rivelazioni su un grave buco di bilancio, l’indagine sui mancati bandi per la gestione e l’affidamento, coatto e costoso, sempre a una unica società; infine, la ferita più umiliante per la fiducia dei cittadini: il trucco sui numeri delle presenze. Con l’aggravio di una giustificazione molto imbarazzante e che, tra l’altro, getta un’ombra di sospetto su tutti i numeri di successo sbandierati dalle altre manifestazioni della città.

Tutto ciò non basta per dare un segnale, forte e chiaro, di comprensione del danno arrecato all’immagine della città e di voler cambiare metodi e scelte rivelatesi così inadeguate alla grande «scommessa culturale» della Torino dei prossimi anni?

Luigi La Spina


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