Professor Arturo Parisi, lei è considerato il padre delle primarie italiane: Renzi sta riflettendo se sia il caso di continuare a farle, secondo lei se ne può fare a meno?«Se è per quello si può fare a meno anche delle elezioni ufficiali, le “secondarie”, e quindi della democrazia: quasi tutte le obiezioni avanzate contro le semifinali possono essere usate anche contro le elezioni finali. Ma la democrazia è “la peggiore forma di governo”, diceva Churchill, “ad eccezione delle altre sperimentate finora”».
Prima obiezione: si rischia che vincano candidati incapaci poi di vincere le elezioni...«Sensato: in effetti le primarie non assicurano la scelta del candidato ottimale, né la vittoria alle elezioni. Ma scusi, quando a decidere erano pochi sconosciuti chiusi in una stanza, i candidati poi vincevano sempre? O erano i migliori?». Seconda obiezione: troppo spesso sono state inquinate. «Vero, esattamente come possono essere inquinate le elezioni finali: e allora non votiamo più? Nel caso, vanno corrette le regole e perseguiti gli inquinatori».Correggere le regole in che modo? «Iniziamo a far votare alle primarie solo chi ha titolo a votare alle “secondarie”». Cioè, no alle file di stranieri in coda ai seggi? «Una inclusione decisa soltanto per aumentare l’effetto propaganda. Acceleriamo semmai la loro integrazione come cittadini, e quindi il loro inserimento nelle liste elettorali». Morale, quale consiglio darebbe al segretario Renzi? «Di farsene una ragione: le primarie sono entrate nell’immaginario della nostra democrazia. A tornare indietro si fa e ci si fa del male».Quindi vanno fatte per trovare il candidato sindaco di Roma... «Sì, e fatte presto. Nel tempo giusto per farle e per dimenticarle: se sono primarie vere, il vincitore deve avere il tempo di coinvolgere i vinti. A Roma come negli altri Comuni che vanno al voto in primavera è giunta l’ora di allungare il passo: l’ideale sarebbe farle entro l’anno. Anche se ho annusato l’idea che, almeno per l’anno prossimo, e almeno a Roma, le elezioni potrebbero essere rinviate: sarebbe scorretto istituzionalmente e rischioso politicamente». Le primarie andrebbero regolate per legge? «Sarebbe l’ideale, anche se fossero solo facoltative. Ma con la consapevolezza che si tratta di un processo lungo: non vorrei che questa proposta servisse più a rinviare la partenza che ad accelerare l’arrivo». Se il Pd smettesse di farle, perderebbe un pezzo della sua identità? «Senza dubbio. Non starebbe solo abbandonando un istituto che per primo ha adottato in Italia, ma, con l’indebolimento della “D” di Pd, perderebbe la sua ragione sociale». Strano che pensi di abolirle Renzi, l’uomo delle primarie: senza, secondo lei, sarebbe arrivato dov’è? «Sicuramente no. Secondo il vecchio modello, lo aspettava un lungo cammino, quello che gli consigliava D’Alema: prima l’esperienza locale, poi magari un passaggio in Europa, infine una candidatura per cariche nazionali». Magari sarebbe arrivato comunque a Palazzo Chigi, solo un po’ più vecchio. «Ma, sa, il tempo talvolta aiuta, ma più spesso logora: soprattutto chi il potere non ce l’ha ancora...».