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In Italia
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La “guerra” tra lupo e pastori è più virulenta in Francia, dove paradossalmente i lupi sono meno e ai pastori i capi uccisi sono rimborsati di più. E’ una questione politico-culturale: storicamente l’ecologia si è radicata prima nella penisola (ai tempi di Chernobyl la sensibilità ecologica francese era scarsa) ma nell’Esagono la consapevolezza dei “citoyens” è più viva, si sa. I dati comunque parlano chiaro: 300 capi domestici uccisi nel 2014 in Italia contro i 4 mila dichiarati in Francia, dice un reportage trasmesso qualche mese fa Oltralpe. Una troupe di ARTE ha visitato la Val Chisone e presentato le diverse reazioni al ritorno del lupo sulle Alpi, servizio realizzato con la collaborazione di Life Wolfalps, struttura europea (Life è il programma della Ue dedicato all’ambiente) che coordina la conservazione del lupo sull’arco alpino.
Il predatore in Italia si diffonde, anche se ogni anno ne muoiono un centinaio per trappole, bracconaggio, bocconi avvelenati. Dal rischio di estinzione nei primi Anni Settanta (erano appena un centinaio ) si è passati agli attuali 800-1000 – per alcuni studiosi anche 1600-1900 - distribuiti su tutti gli Appennini e le Alpi, fino alla Valle Stura in Piemonte.
Il lupo, si sa, al piccolo trotto copre distanze enormi, per sopravvivere colonizza nuovi territori; dunque l’espansione evolve continuamente ed è probabile che si espanderà verso Nord, tornando gradualmente sulle Alpi franco-italiane e su quelle italo-svizzere, dove speso lo accolgono come in Francia, a fucilate.
Eppure fin dal 1972, con l’ “Operazione San Francesco”, il Wwf avviò il primo progetto di conservazione del lupo in Italia, a dimostrare che la convivenza è possibile. Il “campione di tutte le malefatte” del Medioevo ora per fortuna è da molti considerato un simbolo di natura intatta e una risorsa economica. Meno “al lupo, al lupo” e fole su aggressioni aspettando i “civili” dietro l’albero, in realtà il lupo si fa vedere pochissimo, ha paura dell’uomo e preferisce animali vecchi o malati, da perfetto selezionatore naturale. Negli inverni di estrema penuria si avvicina ai centri abitati (ha imparato a convivere in territori densamente antropizzati), gironzola tra discariche e periferie, al minimo allarme scappa. Di giorno riposa al sicuro nel suo territorio, in media di 150-250 chilometri quadrati; la notte va a caccia.
Certo le predazioni crescono (in genere pecore, caprioli, camosci, cervi, cinghiali) e serve un confronto aperto. Il pascolo brado non funziona più, pastori e margari vanno aiutati anche se scarseggiano i fondi (dobbiamo difendere gli ultimi lavoratori della montagna: meriterebbero uno stipendio elevato i giovani che vogliono salire d’estate a guardare le bestie) perché faticano di più e devono modificare il modo di lavorare, tenendo le bestie nei recinti elettrificati la notte, dotandosi di cani con collare chiodato, per sostenere una lotta altrimenti impari. I pastori maremmani sono ottimi, un’“arma bianca”.
Prendersela col lupo, collegarlo all’abbandono della montagna, è esagerato: deve rimanere, sotto controllo, nelle nostre valli. C’è chi cavalca ancestrali e ormai immotivate paure, promette fucilate risolutorie. Non risolveranno niente, uccideranno un simbolo, allontaneranno i turisti e toglieranno possibilità di sviluppo vero del territorio: quello duraturo, rispettoso dell’ambiente.
Carlo Grande