Cultura
Su Roma si avverte una strana aria. Ecco, non una dichiarazione programmatica né una tendenza misurabile con qualche ricerca demoscopica, ma proprio un’aria, niente più di un sentimento che gira e forse cresce: la voglia che il prossimo sindaco di Roma sia del movimento cinque stelle. Lo si sente dire a Roma e fuori Roma da persone che per i grillini non voterebbero mai, che credono poco o niente nella, diciamo così, grande dottrina della democrazia dal basso, e cioè nella teoria salvifica dell’uomo della strada che, scelto dal popolo, si fa portatore della sua carsica ma straripante energia e incenerisce le caste, e dunque si prende il palazzo in nome dell’incompetenza, vera garanzia di purezza. Lontano dalla capitale e specialmente al Nord, dove l’antipatia per Roma è solida e antica allo stesso modo per cui ogni periferia diffida di ogni centro, ci si augura una vittoria dei cinque stelle come ultimo sfregio alla (quasi) trimillenaria caput mundi, che di quel titolo avrebbe conservato soltanto la prosopopea. Per il senso di irrimediabile declino che Roma consegna al resto del paese, l’associazione fra politica corrotta e criminalità organizzata (di cui di conseguenza il cinema fa caricatura), quella fra l’esercito di dipendenti statali e il loro cronico assenteismo, il sudiciume delle strade, il trasporto e la sanità inefficaci e costosi, e per mille altre ragioni vere o verosimili o stereotipate, l’immagine di un piccolo Cola di Rienzo da social network alla presa del sacro colle del Campidoglio potrebbe essere per molti un irresistibile sberleffo.
Se così è davvero, le speranze non sono poche. Anche Roma appare dominata da un impulso non del tutto dissimile, di ringhiosa rassegnazione. Forse più che di ultimo sfregio si tratta di ultima spiaggia, quel consegnarsi alla rimanente fiche dopo avere perso un capitale al tavolo da gioco. Se i partiti classici hanno fallito e senza nessuna grandezza, ma per inettitudine e piccineria – soprattutto tanta piccineria – tanto vale affidarsi ai barbari, perché si sappia quale opinione Roma ha della classe dirigente. E chissà che proprio i barbari non siano quelli capaci di rimettere insieme qualche mattone. Non è un bel panorama. Alla lunga non lo è nemmeno per i cinque stelle e per i loro sostenitori più convinti: conquistare Roma, la Roma degli Imperatori e dei Papi, sarebbe impresa degna di passare dalle pagine di cronaca a quelle di storia. Ma si correrebbero due rischi, il primo è di fallire e il secondo è peggiore: quando Ignazio Marino diventò sindaco, trovò iscritti a bilancio crediti dei romani con il loro comune, per tasse e multe non pagate, di due miliardi e quattrocento milioni di euro, e due terzi della cifra furono dichiarati inesigibili; insomma, per i grillini sarebbe un guaio se a Roma si dimostrasse che il popolo non è umiliato e oppresso dalla casta, ma molto spesso un suo volenteroso complice.