Economia
Pechino inietta altri 19 miliardi nel sistema bancario, ma Shanghai perde il 3,4%
Pechino inietta altri 19 miliardi nel sistema bancario, ma Shanghai perde il 3,4%
La Cina manda in rosso le Borse
L’Europa brucia 160 miliardi
Fuga di capitali nei Paesi emergenti. Milano (-2,6%) è la peggiore nell’Ue
Fuga di capitali nei Paesi emergenti. Milano (-2,6%) è la peggiore nell’Ue
La frenata della Cina e dei Paesi emergenti contagia anche le Borse europee e Wall Street. Ieri i mercati del Vecchio Continente hanno bruciato 160 miliardi di euro e Milano è stata la piazza peggiore (-2,60%). A innervosire gli investitori internazionali è un mix di fattori ma in primo piano ci sono le continue paure sull’economia della Cina a cui si aggiungono ora anche i timori di un possibile rallentamento della congiuntura mondiale. L’incertezza sui tempi dell’aumento dei tassi di interesse negli Usa e le elezioni anticipate in Grecia, annunciate ieri e fissate per il prossimo 20 settembre, hanno aggiunto benzina su un fuoco già intenso.
Ieri il listino di Shanghai ha perso un altro 3,4% che si aggiunge ai forti cali dei giorni precedenti. Allo stesso tempo non si fermano gli interventi della Banca centrale cinese per mantenere sufficienti condizioni di liquidità sul mercato interbancario. Ieri in mattinata Pechino ha pompato, nel sistema bancario cinese, liquidità per 150 miliardi di yuan (circa 21 miliardi di euro). Si tratta della maggiore operazione dallo scorso 9 febbraio (205 miliardi di yuan). Oltre a prestare denaro a breve termine, la Banca centrale ha fornito alle banche un prestito a 6 mesi per 110 miliardi di yuan. La mossa lascia spazio a nuovi dubbi sul reale stato di salute della seconda economia del pianeta. E a preoccupare è soprattutto il sistema bancario cinese, tanto più che martedì la Banca centrale ha prestato 100 miliardi di dollari per rafforzare il capitale della China Devolpment Bank e della Export-Import Bank of China. Le tensioni in Cina non hanno avuto conseguenze solo in Borsa ma anche sulle materie prime: ieri il prezzo del petrolio ha raggiunto i minimi degli ultimi sei anni e mezzo a quota 40,21 dollari al barile.
Il nervosismo generale è amplificato dalle preoccupazioni sui Paesi emergenti che mostrano di non riuscire più a tenere il ritmo degli anni passati. E ieri un duro colpo è arrivato sugli esportatori di materie prime che sono corsi, dopo l’ennesimo calo del petrolio, a svalutare le loro valute per riuscire a tenere in piedi le loro economie. La pressione si è fatta sentire soprattutto sul Kazakhstan con il tenge, la valuta kazaka, che ieri è sprofondata del 28% dopo la decisione della Banca centrale del Paese di lasciarla fluttuare liberamente. Una decisione simile era stata presa nei giorni scorsi anche dal Vietnam. In forte difficoltà anche la Russia: ormai entrata in recessione, con il Pil crollato a -4,6% nel secondo trimestre e il rublo in caduta libera. Al tappeto, ieri, è finita anche la lira turca che si è inabissata a nuovi minimi storici, risentendo anche della fase d’instabilità politica del Paese. Giù anche le quotazioni di altre materie prime come il rame. A salire è soltanto l’oro. Il metallo prezioso è stato riscoperto dagli investitori in cerca di un porto sicuro con un guadagno dell’1,2% a 1.146 dollari l’oncia, sui massimi degli ultimi 30 giorni.
sandra riccio